Gli indicatori dell’ultimo rapporto del Ministero dell’Istruzione parlano di uno scenario devastante nell’ambito della scolarizzazione dei minori di origine non italiana, con ben il 30% dei bocciati nella scuola dell’obbligo. Bisogna ripartire da questi dati “fallimentari”, così definiti da uno sconsolato Augusto Venanzetti, coordinatore della rete Scuolemigranti, nel corso di un incontro con le varie associazioni di volontariato impegnate nell’insegnamento della nostra lingua agli studenti stranieri svoltosi il 25 settembre nella sede del Cesv – Centro Servizi – nei pressi di Santa Maria Maggiore.
Mettere a sistema gli interventi Il principale problema dell’operato della rete è la mancanza di un sistema di relazioni che coinvolga in modo costante anche le istituzioni. Finora i rapporti sono stati quasi esclusivamente diretti con le scuole, sempre più bisognose di supporto per l’assenza di risorse, anche se presto sarà possibile “sviluppare quelli con l’Ufficio Scolastico Regionale. Gli obiettivi sono una maggiore qualificazione degli interventi, intrecciare le esperienze, costruire un filone formativo, sistematico, studiato. Bisogna riprendere per i bambini ciò che è stato fatto con gli adulti”, continua Venanzetti. Sarà necessaria una “mappatura delle associazioni, per valutare chi siamo, cosa facciamo e con quali forze”, piano fondamentale per irrobustire il lavoro da svolgere. Un sostegno potrebbe venire da un progetto regionale finanziato dal Fondo Europeo per gli Investimenti destinato ai minori, “è interesse raggiungere tutto il Lazio. Ma è prioritario arrivare ad un’organizzazione adeguatamente condivisa”, continua Renata Tomei, coordinatrice dei Ctp – Centri territoriali permanenti – di Roma. “Il volontariato è un arricchimento”, prosegue la Tomei, “le criticità sono la base su cui costruire” ma per farlo è richiesta “alta professionalità”. L’incontro con le istituzioni, sebbene sembri sempre avere degli attriti, “è motivo di crescita”. E il processo di integrazione non dovrebbe essere trattato continuamente come “situazione di emergenza, ci sono leggi e documenti che sono l’abc, linee guida per l’inserimento dei ragazzi, basterebbe ripassarli”.
Le esperienze delle associazioni “La fragilità dei soggetti, dovuta anche all’età, li rende più riottosi nei confronti di un percorso di integrazione”, espone una delle problematiche Luigi Ugolini della Casa dei diritti sociali. “Le istituzioni scolastiche sono carenti verso la rete. Gli sforzi sono autonomi riguardo alle attività specifiche delle scuole, ma a volte sembra quasi che li liberiamo di un peso, ad esempio portando gli alunni rom fuori dalle classi”. Quelle linguistiche non sono però le uniche difficoltà, si aggiungono spesso quelle di “capire, entrare nel meccanismo del nostro sistema d’istruzione”. “Ci siamo trovati di frequente a tamponare emergenze”, quanto riportato da Koinè – La casa dei popoli. “La sfida è rapportarsi con autorevolezza, che permette di far rispettare le regole e seguire i percorsi delineati”. Altre esperienze meno tradizionali hanno dato risultati importanti, come il laboratorio sperimentato dalla casa editrice Anthea, attiva nel IX municipio, con esercizi quali “completare fiabe senza finale, basandosi sulla lingua comune. C’è stata grande partecipazione anche degli insegnanti e i piccoli studenti hanno sentito l’intercultura senza che se ne parlasse o che fosse imposta, come nel ‘dover far conoscere’ la fiaba filippina o la ricetta bengalese”. L’associazione Passaparola ha sfruttato il legame con l’istituto Taylor, casa di riposo, facendo incontrare anziani italiani che raccontavano storie e bambini stranieri che dovevano poi rielaborarle. Da Voci della terra si avverte la necessità di un dialogo costante per dare gli strumenti a chi è appena arrivato nel nostro paese e come raccordo per un lavoro più efficace.
Gabriele Santoro(27 settembre 2012)