Asha è una giovane donna italo-somala di seconda generazione e svolge da lungo tempo il lavoro di mediatrice culturale a Roma. Racconta della sua esperienza professionale rammaricandosi di come, di fatto, le politiche d’integrazione e d’immigrazione siano strumentalizzate a livello politico durante la campagna elettorale, e poi abbandonate in qualche cassetto di una scrivania, senza trovare così alcuna reale applicazione.
Tale trascuratezza diventa particolarmente marcata se si parla di salute. “Ho la sensazione che in Italia il sistema sanitario sia stato lasciato in balia degli eventi, e stia affondando. Quando ero adolescente pensavo fosse uno dei sistemi migliori ed ora si sta sgretolando sempre di più.” Inevitabilmente, questa situazione si ripercuote anche sui richiedenti asilo con i quali le capita spesso di lavorare. L’iter burocratico previsto per ottenere la tutela sanitaria è complesso “bisogna reperire moltissima documentazione è necessario peregrinare dalla questura agli altri uffici per ottenere, tra l’altro, il codice fiscale e poi la tessera sanitaria. Solo a questo punto lo straniero è inserito nel circuito sanitario, a seconda del bisogno specifico” .
La guida rosa alla prevenzione del tumore al collo dell’utero e della mammella pubblicata dalla regione Lazio è disponibile in varie lingue. come l’arabo, si occupa proprio di questo, ovvero di promuovere un discorso sulla prevenzione tra le straniere giunte in Italia. Tuttavia, a quanto pare, dall’esperienza di Asha sul campo, il problema è abbastanza relativo “Le richiedenti asilo non hanno particolari tabù a parlare di salute e naturalmente tengono molto alla loro, come tutte noi”.
Il nodo principale da sciogliere è la difficoltà nella comunicazione. Infatti, pur superando l’ostacolo linguistico permane un livello di pregiudizio che diventa quasi invalicabile “troppo spesso si ritiene che una donna musulmana sia per antonomasia una donna sottomessa, questo determina incomunicabilità” e ciascuno si chiude nel suo recinto personale non provando ad incontrare e comprendere le ragioni dell’altro/a.
Bisognerebbe essere più preparati ad affrontare situazioni di interculturalità “Innanzitutto è necessario saper ascoltare, poi non si deve pretendere di dare lezioni di civiltà. Spesso la donna occidentale si sente migliore per il solo fatto di essere vissuta in occidente, ovvero nel cosiddetto mondo evoluto” così, da una casualità geografica deriva un’inconsapevole percezione di superiorità. Nella stragrande maggioranza dei casi le donne con le loro famiglie, sono andate via dai loro paesi “alla ricerca di una vita di pace“. Prosegue Asha “infine, potrebbe essere utile dialogare maggiormente con la paziente, capire la sua vita, cercare di creare un rapporto paritario” allo scopo di consentire un’apertura che favorisca il dialogo, l’incontro e che renda possibile un discorso così personale come quello sulla prevenzione femminile.
Il ruolo chiave del mediatore culturale è quindi importante e delicato, nonché finalizzato alla reciproca comprensione tra culture, tra mondi diversi, seppur sponde dello stesso mare.
Piera Francesca Mastantuono
(25 ottobre 2012)