Il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero può diventare un problema difficile da superare. Lo sa bene Tommaso Ravenni, studente universitario a Milano: la sua ragazza di origine cinese laureatasi in Economia in Canada, sta concludendo un Master in marketing nel capoluogo lombardo e ottenuto un lavoro a tempo indeterminato, non riesce a “trasformare” il suo permesso di soggiorno per studio in permesso per lavoro. “Il mio professore, magistrato, mi ha detto: se nemmeno quelli del Ministero riescono a darti una soluzione fai un esposto alla procura,” racconta disorientato. La sua ragazza rischia di perdere un’opportunità lavorativa e di diventare soggiornante non regolare. Ha così passato la notte in treno per chiedere risposte ai relatori dell’incontro Il riconoscimento dei titoli di studio acquisiti all’estero. Difficoltà, sfide, prospettive, tenutosi a Roma giovedì 15 novembre e organizzato dal Servizio Rifugiati e migranti della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia che, attiva nella Rete Scuolemigranti, coordina da anni l’ESP – Ecumenical Sholarship Programme, programma di sostegno allo studio per richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale di cui fanno parte il centro Astalli, la Caritas diocesana di Roma e l’Associazione comboniana servizio emigrati e profughi.
Per i rifugiati e i titolari di protezione internazionale il riconoscimento dei titoli di studio è più complesso. Ottenere i documenti originali o autenticati è a ragion di logica difficile se non impossibile. Sono spesso degli oppositori al regime governativo e azioni che li rendano rintracciabili mettono in pericolo la loro vita o quella dei familiari. L’UNHCR ha di recente espresso preoccupazione in merito alle estreme lungaggini o inadempienze della dichiarazione di valore, attestato prodotto dalle cancellerie consolari italiane nei paesi stranieri e che verifica le caratteristiche del titolo di studio che lo straniero dichiara di possedere.
E’ di questo 26 ottobre la Circolare interna “in cui invito consolati e ambasciate a controllare i documenti con spirito benigno, sorpassando le sfumature” dichiara Pierpaolo Savio della Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese – Ufficio VII del Ministero degli Esteri. “L’idea è quella di ottenere un controllo non formale ma sostanziale da uno o più esperti. Legali di fiducia dell’Ambasciata, interni o collaudati collaboratori esterni, che possano esprimere parere non vincolante, per evitare forme di clientelismo, bensì autorevole per l’Amministrazione” spiega De Savio “Il parere dovrà avere motivazioni e descrizione del titolo. Segnalo che adesso anche la documentazione di cittadini provenienti da paesi quali Somalia, Afghanistan e Congo può pervenire direttamente sul mio tavolo.”
Il progetto ESP – Ecumenical Sholarship Programme, dell’FCEI, promuove tirocini in aree geografiche affini a quella d’origine per i rifugiati e i titolari di protezione internazionale dopo averne reso specifiche abilità e competenze, ad esempio un etiope viene reinserito nell’area africana. Ma “il Ministero degli Esteri in questo non può essere di aiuto” spiega Savio, “poiché assegna borse di studio non al singolo bensì al paese. Ad esempio se vengono attribuite 20 borse di studio all’Iraq, un gruppo di commissari italiani e iracheni seleziona i candidati” che a rigor di logica non possono essere dei rifugiati. La valorizzazione delle competenze dei rifugiati potrebbe forse avvenire in primo luogo proprio in Italia. “E’ proprio in un momento di crisi come quello che sta attraversando il nostro paese che sviluppare dei percorsi di qualità per migranti volontari e rifugiati potrebbe contribuire a rivitalizzare la situazione italiana” sottolinea Giulia Rellini dell’associazione Parsec – ricerca e interventi sociali. Perseguendo questo pensiero, Parsec insieme ad altre associazioni ha realizzato nel 2010, con il finanziamento del Fondo Europeo per i Rifugiati, ProRiTiS un programma pilota per il riconoscimento di titoli e qualifiche di titolari di protezione internazionale. Nell’ambito del progetto sono state realizzate diverse attivtài, tra le quali un vademecum per gli operatori che accompagnano i rifugiati nell’iter del riconoscimento dei titoli di studio. (visualizza e scarica il vademecum)
Ma il problema del riconoscimento dei titoli, non coinvolge solo i rifugiati o i titolari di protezione internazionale ma tutti gli stranieri presenti in Italia. La complessità di tali procedure si appella al fatto che ogni paese possiede peculiari ordinamenti di studio e regolamenti delle professioni. Vi sono, però, degli accordi bilaterali che l’Italia ha stipulato con alcuni paesi stranieri per il riconoscimento dei titoli. Non esentano dal dover seguire l’iter per il riconoscimento ma ne semplificano la valutazione e la loro conoscenza può aiutare lo straniero a sollecitare eventuali inadempienze degli addetti ai lavori (la lista degli accordi bilaterali si trova sul sito del Ministero degli Esteri ).
Il percorso da affrontare disorienta perché non c’è un unico ufficio di riferimento, seppur il primo passo da fare, per tutti gli stranieri non titolari dello status di rifugiato o della protezione internazionale, è richiedere la “dichiarazione di valore” presso i propri consolati di riferimento. Questa è un documento che attesta che la validità del titolo di studio o professionale, e che comprova l’iscrizione agli albi, l’esperienza pregressa nel settore, o ancora la similarità del percorso di studio conseguito con quello italiano corrispondente.
Successivamente ogni diverso profilo lavorativo ha differente interlocutore. Chi ha un percorso professionale legato al settore sanitario deve rivolgersi al Ministero del Sanità; assistenti sociali, ingegneri o commercialisti invece devono presentare la richiesta presso il Ministero di Giustizia. E ancora, per chi abbia attestati ed esperienza negli istituti di bellezza, come gli estetisti, o nei servizi domestici deve rivolgersi al Ministero del Lavoro e della previdenza sociale, e al Ministero dello Sviluppo Economico coloro i quali siano nei settori dell’impiantistica, dell’autoriparazione, della pulizia e facchinaggio. (La lista delle professioni e dei Ministeri corrispondenti si trova sul sito delle Camere di commercio)
Vi è inoltre una procedura ad hoc per i cittadini che hanno conseguito titoli di studio nei Paesi Membri, nello Spazio economico europeo o nella Confederazione elvetica e che vogliano partecipare ad un concorso pubblico. Potranno infatti ottenere un riconoscimento temporaneo limitatamente alla specifica situazione concorsuale (le info si trovano sul sito di Europedirect).
“Ritengo che tale complessità oltre che tecnica sia politica” sottolinea Giulia Rellini. “Si dovrebbe superare la logica assistenziale e di emergenza con la quale il nostro paese si accosta al fenomeno. E’ ormai assodato che l’Italia sia un paese di immigrazione e i tempi sono maturi per sviluppare percorsi di qualità per migranti volontari e rifugiati.” I benefici sarebbero reciproci. “L’italia eviterebbe di sprecare risorse umane ed economiche” commenta Pierpaolo Savio. “Un medico che fa il fruttivendolo non solo vive uno stato di frustrazione psicologica ma contribuisce al sistema tributario con un più basso potenziale economico”.
M. Daniela Basile
(22 novembre 2012)