Giuria Piuculture verso il Medfilm Festival: ecco Fedoua

270219_10200128797652379_247712201_nDal 21 giugno aprirà i battenti la diciannovesima edizione del Medfilm Festival, la rassegna cinematografica dedicata alle pellicole provenienti dal Mediterraneo, tornerà anche la giuria Piuculture, alla sua terza esperienza. Dopo Alexandra Crasnaru, conosciamo meglio un’altra giurata, Fedoua Jalmous. Classe 1984, nata in Marocco, ma in Italia dall’età di 7 anni, Fedoua studia Scienze politiche all’università Luiss, dopo già aver preso la laurea in Studi orientali. “La proposta di partecipare al Festival era interessante, il cinema mi è sempre piaciuto, specie in eventi come questo con argomenti che mi toccano più da vicino”.

L’impatto con l’Italia non è stato facile, “siamo arrivati in un paese in provincia di Frosinone, fra i primi stranieri a farlo. Ho iniziato dalla quarta elementare, ma non parlavo la lingua e i bambini possono essere cattivelli, una volta che hanno un gruppo è difficile entrarci. A casa siamo abbastanza tradizionalisti sulle feste comandate, però parliamo un mix di italiano e marocchino, dipende in che lingua ci viene prima l’espressione cercata. Però mio fratello è nato qui, quindi prevale l’italiano”. Anche in cucina, “tranne quando mia madre ha più tempo per preparare piatti tipici, come le domeniche”.

“Vedevo molti film egiziani e un po’ ho preso il loro accento. Le opere in bianco e nero somigliavano molto a quelle americane. Anche oggi il loro cinema è più impegnato rispetto al marocchino”. Non a caso viene considerato la “Hollywood” del Medio Oriente, “forse hanno maggiori fondi, o soltanto più tradizione ed esperienza, in Marocco è ancora abbastanza grezzo”. Anche dopo la “primavera araba” è rimasta questa superiorità, “tutti hanno voluto immortalare un momento storico”.

Momento da cui il Marocco è stato toccato marginalmente, la protesta nel 2011 contro re Mohammed VI ha portato a modifiche costituzionali senza arrivare a scontri dalle proporzioni di Egitto, Tunisia, Libia o Siria. “La situazione è diversa, la monarchia non è una dittatura, non c’era niente di ‘illecito’. Alcuni dicono che non è cambiato nulla, che le trasformazioni devono ancora arrivare”. E gli ultimi avvenimenti in Turchia lasciano capire che il “focolaio è ancora acceso”.

Ma la situazione migliora, “c’è il boom economico, il Pil cresce di 3,1/3,2 punti annui, la disoccupazione c’è ma non ai livelli egiziani, così come la corruzione. Io non torno spesso, ma mia madre lo vede, probabilmente è questo il motivo per cui la rivolta non ha attecchito”. Differenze ci sono anche con il caso turco, dove non sono stati motivi economici a innescare la miccia, ma il passaggio da una politica laica e filo-europeista ad un ritorno all’islamizzazione.

Presenza della religione che invece in Marocco non è forte come spesso descritto, “vivendoci non la si sente molto, siamo un paese aperto dove le comunità cristiane o ebraiche non hanno avuto problemi, c’è tolleranza ma poi ci sono i singoli casi che risaltano all’attenzione”. Fedoua ci vede un parallelo con l’Italia, “dicono che gli italiani siano razzisti, ma non è così, nonostante la presenza di forze come la Lega. È che spesso emerge solo il peggio di una nazione”.

Ius soli Il dibattito sulla cittadinanza è uno dei più accesi dell’agenda politica attuale, anche se spiragli di convergenza fra gli schieramenti si lasciano intravedere. “Lo ius soli dovrebbe essere scontato. È una questione prima di diritti che di appartenenza, che non si può misurare. Usano la scusa dell’incertezza se vogliono diventare cittadini italiani o meno per rinviare, forse si teme che aumentino gli elettori del centro-sinistra, cosa che ovviamente non è matematica. Per attuare qualcosa l’Italia è così, non è un paese pratico”.

Associazione Sana In collaborazione con la Casa internazionale delle donne, Asinitas, Imed – Istituto per il Mediterraneo – e altre realtà del territorio è nata Sana, associazione cui Fedoua è iscritta e che si occupa dei nuovi arrivati per aiutarli nell’inserimento, nell’apprendimento della lingua, a muoversi nel labirinto burocratico. “Parliamo arabo, inglese e francese, quindi riusciamo a coprire diverse nazionalità, anche se la provenienza del nord Africa è prevalente. Abbiamo fatto dei progetti interculturali con le seconde generazioni, come un festival a Caracalla, corsi di italiano, attività per il doposcuola”. Le riunioni sono itineranti, non avendo ancora una sede, motivo per cui i contatti arrivano per conoscenza diretta. “A Roma ci vuole fatica, non ci sono istituzioni cui rivolgersi, non avendo appoggi dobbiamo caricarci ogni iniziativa sulle nostre spalle”.

Gabriele Santoro(5 giugno 2013)