“Ciao suerte”. Un dolce augurio accompagna il capitano del Paraguay mentre si volta per entrare in campo. A pronunciarlo è una mamma, una delle tante mamme che affollano il prato e gli spalti dell’Atletico 2000 per l’incontro Colombia – Paraguay. Ti raccontano queste mamme col sorriso sulle labbra storie di difficoltà e coraggio, ti svelano il volto duro e l’anima buona dell’immigrazione in Italia.
“Viviamo in Italia da quattordici anni. Io e mio marito eravamo rimasti entrambi senza lavoro con due figli piccoli e allora abbiamo deciso di venire qui”. Per sei anni Leonor Truhillo cresce i figli degli altri, i suoi li sente solo la domenica al telefono. La bambina fa domande, il maschietto invece ha una malattia che gli impedisce di parlare e allora ascolta la voce della mamma che cerca di rassicurarlo.
Passano quattro anni prima che Leonor possa andare a trovarli e al suo rientro in Italia l’amara sorpresa: “La famiglia per la quale lavoravo come tata ha detto che preferiva tenere la ragazza che mi aveva sostituito…”. Parla senza rancore Leonor, si sente solo la nostalgia per quel bambino al quale si era affezionata e che non ha più visto. E la frustrazione per un’attesa ingiusta. Perché lei e il marito in Italia si sono adattati a fare di tutto e dopo quattro anni hanno raggiunto quei requisiti durissimi che la legge impone per il ricongiungimento, ma i figli non glieli danno. Per altri due anni.
Oggi Leonor ce l’ha fatta, la famiglia riunita fa sventolare la bandiera della Colombia. E se i parenti sono lontani, qui ci sono tanti amici, le messe nella chiesa di Santa Lucia, le feste della comunità e una squadra da tifare che ti fa sentire nel tuo paese.
“Mia figlia vorrebbe che tornassi in Paraguay ma io mi sento giovane e voglio lavorare ancora un po’”. Ride Nancy Cardozo perché anche lei ce l’ha fatta. Lei ragazza madre aveva solo un sogno: far studiare la sua bambina. E allora ha rinunciato a quel lavoro che adorava in una fondazione che curava i malati di AIDS ed è venuta qui, a fare la badante. “Mia figlia oggi studia giurisprudenza”. Nancy è un vulcano di orgoglio, e fa bene.
“Mi sono trasferita tre anni fa, appena concluso il liceo. La mia famiglia mi manca molto, ma non avevo scelta e so che per la mia bimba è meglio crescere qui”. Malu stringe tra le braccia la piccola Alessandra in attesa di veder entrare in campo papà Alehandro Ortega, centrocampista del Paraguay. Malu ama l’Italia e ai mondali tifa gli azzurri: “Lo dico sempre, mia figlia è italiana”. Già perché Alessandra è nata qui, ma il passaporto dice un’altra cosa: “Sul mio documento hanno scritto che la bambina è paraguayana e di conseguenza noi non possiamo viaggiare”.
Alessandra è nata senza diritti. Conseguenze brutali di una legge sulla cittadinanza che non riconosce lo ius soli, ignorando le oltre venti proposte di riforma avanzate in questi anni per rendere le norme adeguate ad un paese che è a tutti gli effetti multiculturale. Se questa legge non cambia Alessandra diventerà italiana fra 18 anni e solo se dimostra di aver sempre vissuto qui: “Una signora che conosco ha chiesto un permesso per portare la figlia piccola in Paraguay, ma una volta arrivata lì le hanno detto che la bambina non poteva più rientrare in Italia. E così anche se mia madre mi chiede di andare perché vorrebbe conoscere la bambina io non posso, ho paura”.
Sandra Fratticci (23 giugno 2014)
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