La legislazione in vigore attribuisce la cittadinanza diretta per nascita solo a figli di almeno un genitore italiano. La legge 91/1992 regola la cittadinanza secondo principi fissati all’inizio del ‘900 (L. 555/1912), quando l’Italia era paese d’emigrazione. All’epoca il legislatore volle legare l’appartenenza alla nazione a un vincolo che si trasmetta per via familiare e conservare lo status di cittadino alle seconde e terze generazioni di emigrati italiani, in vista del loro rientro in patria. Poi l’Italia è diventata un paese di immigrazione e sono ormai 4 milioni gli stranieri regolari, tra cui molti bambini nati qui, cresciuti fin da piccoli in tutto e per tutto come italiani. Oggi abbiamo 600.000 minori nati da genitori entrambi stranieri naturalizzati in Italia. Il ritmo di crescita è veloce, nel 2008 sono nati 72.472 bimbi stranieri, pari al 12,6% delle nascite registrate.La “seconda generazione” include ragazzi che spesso neppure conoscono il paese da cui provengono i genitori. Studiano e si preparano al lavoro come i coetanei italiani; fintantoché sono minori lo stato garantisce loro ampi diritti (istruzione, salute, ecc.); ma, al compimento dei 18 anni, la loro posizione giuridica diviene quella di un adulto immigrato. Può acquisire la cittadinanza solo chi sia nato in Italia e vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al diciottesimo anno e la richieda entro dodici mesi. Invece, chi non è nato in Italia ma vi è arrivato bambino, chi è nato in Italia da genitori che non avevano un permesso di soggiorno, chi è tornato per qualche tempo nel paese d’origine può chiedere la cittadinanza alle stesse condizioni imposte ad ogni straniero e – per rimanere in Italia – deve intanto ottenere un permesso temporaneo di soggiorno. Ragazzi di fatto italiani, che non hanno altra nazione a cui appartenere, si sentono trattati diversamente. Non hanno diritto di voto, non possono concorrere a lavori riservati a cittadini italiani e UE; poche possibilità di aprire una partita IVA, le quote riservate si esauriscono presto; problemi nel recuperare i documenti necessari per il matrimonio; le lunghe attese per il rinnovo del permesso di soggiorno limita i viaggi fuori dall’Italia.L’incongruenza normativa pesa sugli “stranieri in patria” e sulle loro famiglie che hanno puntato sull’integrazione dei figli. Si verifica, inoltre, un danno per il paese: sperpero d’investimenti su una leva formata nelle nostre scuole, rottura nel iter d’inserimento, inutili tensioni sociali all’interno delle nuove generazioni, aggravio di lavoro burocratico negli uffici pubblici.Garantire diritti certi per tutti gli stranieri e favorire la cittadinanza per i “Nati qui” costituisce un obiettivo di civiltà che interessa non solo la minoranza straniera, ma tutti coloro che hanno a cuore convivenza e democrazia. Per adeguare l’ordinamento italiano ai cambiamenti sociali, la riforma della cittadinanza dovrebbe garantire:1) cittadinanza automatica per i figli di stranieri regolari che nascono e crescono in Italia2) cittadinanza in tempi certi per gli stranieri che risiedono da tempo e regolarmente in questo paese3) voto amministrativo ai migranti regolari.Nei prossimi mesi il parlamento italiano deciderà in materia. Presso la commissione “Affari costituzionali” della Camera sono all’esame 12 progetti di legge, tra cui il progetto bi-partisan n. 2670 presentato dall’on. Fabio Granata (AN) e on. Andrea Sarubbi (PD), controfirmato da 50 deputati (20 Pd, 20 Pdl, 5 Udc, 5 Idv). Se verrà approvata la cittadinanza automatica per i “Nati qui”, l’ordinamento italiano passerà da una concezione della cittadinanza generata dal sangue (jus sanguinis), a quella che basata sul legame con il territorio in cui il soggetto è cresciuto (jus soli).