Poco distante le rive del fiume Tevere sorge nel suo splendore la Grande Moschea di Roma, la più grande d’Europa. Tante persone si aggirano nei dintorni: è venerdì, infatti, giorno in cui c’è la maggior affluenza nel luogo di culto di fede musulmana sul territorio romano. Le curiosità sono molte, a partire dalla presenza di fedeli di tutto il mondo. Ci si aspetta di vedere principalmente arabi o persone di origine africana, ma nel vedere filippini, thailandesi, inglesi ed italiani si intuisce la grandezza di una religione alle volte messa troppo in discussione.
“Una volta era difficile poter condividere i momenti con la comunità, se non vivevi vicino la Moschea” racconta Amina, di fede islamica e originaria della Thailandia “era difficile, mi sentivo sola, non avevo chi mi insegnasse i passi del Corano, sono persino andata in Giappone per cercare chi lo facesse”. Purtroppo non ha trovato fortuna nemmeno in terre nipponiche: “è stata ancora più dura, ma tornata a Roma, ho incontrato un Imam venuto dal Cairo, che mi ha aiutato a conoscere meglio la mia religione”.
Entrando nella Grande Moschea, introdotti dai richiami per l’inizio della Kuthba, si vedono bambini correre spensierati da una parte all’altra dell’edificio: “Tra poco inizia la Kuthba e nessuno si potrà muovere, quindi si danno al libero divertimento” ci spiega Stefano, fotografo romano convertitosi all’Islam. E’ curioso vedere donne da una parte e uomini da un’altra, ma “questa è la scelta che Dio ha voluto per noi, e noi dobbiamo rispettarla” spiega Najat. “La donna è sacra, unicamente il marito può guardarla, ecco perché dobbiamo tenere scoperte solo volto e mani”.
La moschea si riempie mano mano, anche se il rito è iniziato, non importa, l’essenziale è esserci e partecipare. Prima di accomodarsi i fedeli compiono una preghiera che richiama l’attenzione: “Sono due preghiere che si rivolgono ad Allah e che chiunque voglia, una volta entrato in Moschea, può fare. Per le preghiere non ci sono distinzioni, né di colore né di religione, siamo tutti uguali” continua Najat. “Il Ramadan è un mese che ci rende ancora più uniti, siamo qui tra fratelli e sorelle, di tutti i Paesi e di tutte le razze”. Najat ci presenta Riccardo, suo figlio, che incuriosito dalle spiegazioni della madre, si presenta e chiede: “vi volete convertire?“. Nessun pregiudizio, solo domande pertinenti al luogo sacro in cui ci troviamo.
Differenze non ci sono, è vero: persone vestite con abiti tradizionali del proprio Paese d’origine, chi in giacca e cravatta, altri semplicemente in jeans e t-shirt. Perché una religione che non commette discriminazione con i propri fedeli, deve essere a sua volta discriminata dal resto del mondo? “Vogliono trasmettere l’ignoranza che tra noi non c’è, fa più paura la loro cattiveria nei nostri confronti che le finte storie sull’Islam raccontate sui giornali“.
Guarda la galleria foografica completa su FlickrFoto di: Veronica Adriani, Giulia Castellano, Marzia Marino, Ilaria Moretti, Giuseppe Marsoner.
Carlos Paredes
(24 giugno 2015)
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