“Due famiglie vengono alle prese -non- nella gentil Verona -neanche a Tel Aviv, ma nella caotica e multiculturale Roma- ove è posta la nostra scena. “Da due stipiti ostili discendono due amanti…”: una Giulietta di origine arabo-islamica e un Romeo di famiglia ebraica-ortodossa.
Nur, la nostra Giulietta capitolina, è secondogenita di seconde nozze di una coppia mista –madre italiana e padre egiziano-. Da bambina vive sulla sua pelle cosa significa essere “una mezzo sangue”, come lei stessa ironicamente si definisce, a Roma negli anni ’90, quando la multiculturalità e la multietnicità non sono ancora all’ordine del giorno.Con la sua adolescenza “sono sparite dal frigo birre, prosciutto e mortadella”, i viaggi del padre in Egitto si sono fatti più frequenti e le cinque preghiere giornaliere previste dall’Islam venivano da lui celebrate regolarmente; atteggiamenti questi energicamente arginati dalla vulcanica tempra materna. Nur, nonostante il divieto paterno, che voleva si dedicasse solo agli studi universitari, ha sempre lavorato come cameriera per contribuirvi “È capitato che di ritorno a casa dal lavoro ho dovuto fare la lucertola camminando attaccata al muro per non farmi vedere da mio padre mentre eseguiva la preghiera dell’alba”.È durante uno dei suoi lavori che la nostra Giulietta araba incontra il suo Romeo ebreo, David, il giovane figlio del proprietario del ristorante, secondo una perfetta trasposizione italiana della realtà attuale in Israele. Il disappunto dei “Montecchi” è immediato e oggetto di racconti goliardici dei due innamorati. La storica ostilità delle “due casate” fa parte di mondi e vissuti che non gli appartengono: sono nati e cresciuti a Roma, “atei” -come entrambi ci tengono a definirsi- dinamici e ironici, amanti del buon vino rosso e della cucina ricercata.
I due hanno legami e approcci diversi ai rispettivi retaggi culturali: Nur ha scelto di recuperare il rapporto con le proprie origini indipendentemente dal filtro paterno: ha sempre rifiutato di parlare arabo a casa ma decide di apprenderlo attraverso il percorso universitario; vive, veste, mangia, beve “com’è naturale che sia” all’occidentale ma imprime l’oriente sulla pelle tatuandosi i simboli della tradizione egiziana. Quando il padre propone alla famiglia di trasferirsi in Egitto la frattura con lui è totale “ad oggi sono quattro anni che non gli rispondo al telefono”.David “a parte la storia con Nur” ha un buon rapporto con il padre. Non è, diversamente da lui, un gran frequentatore della sinagoga, la religione non gli interessa ma segue le festività per il forte legame che ha con la famiglia e la comunità, all’interno della quale ha iniziato a concretizzare, giovanissimo, la sua spiccata inventiva ed ambizione.
La storia di Nur e David è diventata sempre più profonda, fanno progetti insieme anche di convivenza, e di pari passo l’ingerenza dei Montecchi si fa più stringente: minacciano di tagliare i fondi al figlio, poi di fargli terra bruciata in ambito professionale se non interrompe la sua storia e mandano avanti altri membri della comunità per coinvolgerlo in un giro più giovane e dinamico. Come estrema ratio lei gli offre la più grande “prova d’amore” che, vista la sua storia personale, potesse proporgli: convertirsi all’ebraismo, lei che aveva rifiutato la fede del proprio padre in nome della propria libertà ed emancipazione; quando si dice: “Far uscire, faticosamente, la religione del proprio padre della porta per vedersi rientrare quella del padre dell’altro dalla finestra”.
David non regge la pressione e cede al timore di essere rifiutato dalla propria famiglia, non vuole rinunciare alle opportunità professionali che gli offre e non può permettere che la sua Giulietta si snaturi per lui. Nei loro ultimi incontri “non lo riconoscevo più nei discorsi che faceva, sembrava gli avessero fatto il lavaggio del cervello” conclude Nur.
L’amore dei Giulietta e Romeo nostrani si è concluso dopo sei anni “La peste sulle vostre famiglie” gridava in punto di morte Mercuzio e quell’urlo riecheggia anche da questo racconto moderno dove non ci sono state giovani morti ma “solo” il senso d’ingiustizia derivante dalla consapevolezza che, ancora oggi, ciò che di più aleatorio esiste, la religione, abbia il potere di influenzare pesantemente ciò che c’è di più concreto: una storia d’amore.
(16 marzo 2016)
Francesca Bufacchi
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