Mirvat e Leen, due storie diverse che si sono intrecciate in Libano nell’ambasciata italiana. Sono due splendide ragazze siriane di 24 e 25 anni che il 29 febbraio scorso sono arrivate a Roma grazie ad un corridoio umanitario realizzato dalla federazione delle chiese evangeliche valdesi e dalla comunità di Sant’Egidio. Hanno appena iniziato un corso di italiano e parlano perfettamente l’inglese.
Mirvat è arrivata in Italia con tante altre persone della sua famiglia: mamma e papà, sua sorella più grande Giorgina, il cognato Joseph, i nipotini Antony e Georg, la mamma di suo cognato e anche sua zia Adiba. Mirvat, con i suoi occhioni verdi conquista tutti. La sua storia inizia ad Aleppo dove studiava Letteratura inglese e dove aveva iniziato un corso di flamenco. Tutto, inclusi i suoi sogni, sono stati interrotti dalla guerra.
In fretta, tutta la famiglia si è spostata a Latakia. “Il viaggio è durato 12 interminabili ore nelle quali abbiamo pregato tanto.”racconta Mirvat “E’ un trasferimento molto pericoloso, rischi di essere ucciso in ogni momento e noi donne abbiamo dovuto metterci il velo per poter passare”. Poi hanno dovuto lasciare anche Latakia e si sono spostati in Libano dove hanno vissuto per 3 anni. “Dal Libano sono tornata diverse volte in Siria per poter dare gli esami all’università, ma l’ultima volta al confine ho rischiato di essere rapita ed i miei genitori non mi hanno più permesso di ritornare”.
Leen invece è partita da sola. E’ la più piccola della sua famiglia. Ha lasciato a casa mamma, papà ed un fratello più grande. Racconta, “Poco prima che io partissi mio padre ha rischiato la vita. Stava sistemando qualcosa sul tetto della nostra casa ed un cecchino ha sparato diversi colpi nella sua direzione e per poco non l’ha preso in testa”. Un mese fa, a Damasco le è stato chiesto: C’è un solo posto in questo progetto umanitario, vieni? Non ci ha pensato due volte ed è partita. Alle spalle ha lasciato la famiglia, e non è poco, il resto era solo deserto. Dopo il diploma è stata costretta a frequentare il Banking Institute, che non le piaceva per niente. “Costretta perché in Siria puoi proseguire gli studi solo in base al punteggio che ottieni alle superiori”. Lei ama la danza, sia classica che moderna, ma la scuola di danza non rientrava nel suo punteggio e poi confessa: “Danzare vuol dire essere etichettati come ragazzacce”.
Leen ha una sorella più grande in Germania, ma non ha intenzione di raggiungerla perché è vero che è in Italia da poco tempo, ma se ne è innamorata, soprattutto delle belle persone che ha incontrato e che l’hanno fatta sentire a casa.
Due storie, due ragazze che con gli occhi pieni di tristezza esclamano “Abbiamo perso cinque anni della nostra vita, gli anni migliori”, Leen aggiunge “è da cinque anni e un mese esatto che è iniziata la guerra”.
Non c’è nient’altro da aggiungere se non raccontare come si illuminano i loro visi quando parlano del futuro, dei loro progetti. Mirvat farà di tutto per farsi riconoscere gli studi universitari, Leen vuole imparare bene l’italiano e fare la mediatrice culturale.
Mirvat e Leen sono felici di essere venute in Italia, sono felici di aver incontrato delle belle persone come gli operatori del progetto umanitario e di avere una struttura dove alloggiare. Ridendo però confessano “La cuoca della struttura dove alloggiamo è bravissima, ma non capiamo perché si ostina a cucinare cibo siriano, noi in fondo amiamo la lasagna!”. Ad ogni modo, come tutte le ragazze della loro età sono dispiaciute di non avere ancora degli amici, di non avere molto da fare durante il giorno e di essere lontane dal centro della città.
Sono ragazze come tante altre alle quali piace studiare, sentire la musica, fotografare, ballare il flamenco, la salsa e il merengue, ma hanno corso un grande pericolo: il loro futuro rischiava di essere spezzato. Rischiava, ma adesso hanno la possibilità di averne uno migliore, almeno questo è l’augurio.
Foto di Gabriele de Bonfils
Amarilda Dhrami
(14 aprile 2016)
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