Silenzio apatico. La seconda del liceo linguistico Montessori, quel giorno, non aveva nessuna voglia di fare lezione d’inglese. In classe sono in ventiquattro, di cui nove di origine straniera: tre filippine, tre sudamericani, una coreana, un’israeliana e un’italoamericana. Quella mattina i loro visi erano inespressivi, accomunati dalla noia. “Ho fermato l’esercizio di lettura per spiegare loro che l’intonation spesso è più importante della parola in sé, il senso passa e arriva diretto” racconta Grazia Trabattoni, la professoressa. I volti dei ragazzi divennero da annoiati, increduli. Memore del timore della figlia, che da piccola le diceva: “mamma ti prego non parlare in inglese, mi spaventi, la tua voce diventa quella di un’altra”, Grazia Trabattoni propone un esperimento sonoro.
Voci ipnotiche. La studentessa coreana iniziò un lungo monologo nella sua lingua. “L’ho scelta sia perché è molto disponibile, sia perché il coreano è distante dalla nostra lingua e la differenza sarebbe stata netta” spiega Trabattoni. La voce della ragazza – che parla benissimo italiano – nel monologo in lingua madre pian piano diventava ‘un’altra’. “Emergevano gradualmente i suoni che appartenevano alla sua cultura e alla sua storia”. Iniziò così la caccia agli aggettivi che potessero descrivere quella nuova voce. “Tutti i ragazzi erano coinvolti, come stregati” ricorda emozionata la professoressa “Per me è stato un momento bellissimo, anche perché la classe, come a volte capita, é disomogenea, poco unita e un po’ problematica. Vederli alleati mi ha reso felice”. Le giovani filippine improvvisarono un dialogo. Una di loro pur comprendendo le altre non poteva che rispondere con brevi frasi. Le ragazze ci rivelarono che nelle diverse regioni delle Filippine non si parla la stessa lingua. “Naturalmente il paragone con i dialetti italiani è stato immediato”, racconta Grazia Trabattoni, ” due ragazzi inscenarono il classico incontro tra giovani romani. Era un fioccare di risate. E coinvolsero una compagna di origini napoletane”. Il giovane Paraguayano, essendo molto timido, eseguì il suo monologo solo a patto che la professoressa, di origine ligure, condividesse con lui la voce della sua terra.
Un’esperienza corale. “Ho notato come questo esperimento sia stato motivo di stimolo, oggi la classe è più predisposta alle lezioni d’inglese, e mi sembra sia stato occasione di coesione, si conoscono di più, hanno riso insieme” spiega la professoressa. Il liceo linguistico Montessori è pieno di giovani d’ogni provenienza. I ragazzi e le loro famiglie sanno che il bilinguismo è una grande risorsa. A Roma, ormai, è usanza diffusa per le famiglie filippine parlare ai figli in inglese, piuttosto che in tagalog, sarà loro più utile. “Nell’attuale V classe, quattro anni fa è arrivato un ragazzo delle Filippine che parlava solo tagalog”, ricorda Trabattoni. “In quel caso l’insegnante d’italiano per capire il livello del nuovo alunno si fece aiutare da una compagna connazionale che faceva da interprete durante lo studio e le interrogazioni”.
L’urlo di Macbeth. Non è probabilmente un caso che, nel giorno della noia, Grazia Trabattoni abbia avuto quest’intuizione. Ricorda quando, durante le scuole medie, il grido di Macbeth “Out, out, brief candle!” l’ha scossa a tal punto da farle capire che avrebbe studiato lingue. La musica, poi, l’ha portata lontano. Vinse una borsa di studio per approfondire le sue ricerche su Leonard Cohen. Volò in Canada dove incontrò il famoso cantautore e conobbe il ragazzo che oggi è suo marito. Nel 1963 Cohen, in Il gioco preferito, scrisse: «Vorrei dire tutto ciò che c’è da dire in una sola parola. Odio quanto possa succedere tra l’inizio e la fine di una frase». Non è il caso dei ragazzi del II anno della Montessori che nel corso di una frase hanno scoperto “di cambiar voce”.
M. Daniela Basile(18 maggio 2011)