“Lei non può entrare qui” Ilham Mounssif se lo è sentito ripetere parecchie volte negli ultimi venti anni, da quando ancora bambina è arrivata con la famiglia in Sardegna da Marrakesh, in Marocco. Insomma “una delle tante ingiustizie” che quelli come lei, gli “italiani senza cittadinanza”, collezionano fin da piccoli. Nulla di nuovo, dunque. Se non fosse che stavolta a sbarrarle la strada è stata una commessa della Camera dei deputati ligia al regolamento di Montecitorio che vieta ai cittadini extracomunitari di assistere alle sedute dell’aula. ll paradosso è che poco prima e poco più in là, nell’aula dei gruppi parlamentari, Ilham avesse ricevuto il premio che la Fondazione Italia-Usa assegna ogni anno ai neolaureati più brillanti del Paese. “Mi ha detto che serviva un permesso speciale dell’ambasciata marocchina”, ci racconta con l’accento sardo mentre aspetta all’aeroporto il volo che la riporta in Marocco, dove sta prestando servizio civile per una Ong genovese.L’amarezza resta malgrado l’incontro avuto con la presidente della Camera Laura Boldrini dopo il “torto” subìto. “Un fatto che dimostra come sia necessario aggiornare la legge sulla cittadinanza”, ha ribadito la terza carica dello Stato. Già perché il disegno di legge che mira a riformarla giace in Senato da 15 mesi dopo l’approvazione alla Camera nell’ottobre del 2015.Uno stallo che pare finalmente giunto a conclusione dopo la manifestazione nazionale promossa dalla campagna L’Italia sono anch’io e dal movimento Italiani senza cittadinanza, di cui Ilham è un’attivista. I senatori infatti sembrano intenzionati a tirar fuori dal cassetto il testo e a condurre in porto la legge. La ripresa della discussione in commissione Affari Costituzionali, in calendario giovedì 23 marzo, è slittata e Iham incrocia le dita: “Auspichiamo che l’aver smosso le acque portando a galla le ingiustizie che subiamo ogni giorno possa contribuire a incoraggiare la classe politica a fare una scelta di civiltà”.Grazie al movimento Ilham ha scoperto di non essere sola: “Sono tantissimi gli italiani invisibili che vivono la mia stessa condizione”. Secondo l’Istat circa un milione di giovani, figli di cittadini stranieri nati o cresciuti in Italia, che chiedono di essere riconosciuti.“Nella vita quotidiana quello che trovo più umiliante è dover continuare a esibire la carta di soggiorno che mi dà il ‘permesso’ di rimanere nel mio Paese”, confida amareggiata. Senza contare i limiti posti ai viaggi all’estero: “Se mancassi per più di dodici mesi consecutivi rischierei di non poter più rientrare a casa mia. Ogni volta che salgo su un aereo è angosciante, mi chiedo sempre se potrò tornare in Italia. D’altra parte il mio passaporto marocchino mi consente di viaggiare solo in un numero limitato di Paesi al di fuori dell’area Schengen”. “Le ingiustizie che più fanno male” alla ventiduenne laureata in Scienze Politiche riguardano però le “occasioni mancate” in ambito professionale: “Ho dovuto rinunciare a concorsi pubblici e stage presso organizzazioni internazionali perché non ho il requisito minimo ma fondamentale della cittadinanza italiana”. Del resto a livello regionale e locale la situazione non migliora. Emblematico in questo senso è il diritto allo studio con i limiti posti agli studenti extracomunitari nell’assegnazione di borse di studio: “Vivo qui da sempre, mi sento italiana ma per lo Stato sono una cittadina straniera”.La riforma, ribadisce, è “importante non solo per noi italiani senza cittadinanza ma per il Paese intero. È tempo che il Parlamento riconosca che la società è cambiata: una comunità multicolore, multiraziale e multireligiosa che vuole solo essere presa in considerazione”.
Federica Giovannetti
(21 marzo 2017)
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