Ogni giorno rifanno centinaia di letti, chiudono migliaia di sacchetti della spazzatura, spolverano mobili di uffici o di case, con la consapevolezza di fare lavori umili nell’indifferenza generale. Sono le lavoratrici invisibili che Karen Messing, ergonoma ed esperta di lavoro femminile, racconta nel suo libro “Les souffrances invisibles. Pour une science de travail à l’écoute des gens” (Editions Écosociété).Non solo donne delle pulizie, ma anche sarte, cameriere e cassiere: il viaggio di Messing si perde tra i mestieri più vari. Molte di queste donne sono straniere e questo aggiunge una consapevolezza ancora più amara: contrariamente a quanto siamo abituati a pensare, infatti, chi lavora in questo settore sviluppa la coscienza di fare un lavoro degradante e sottoqualificato, a cui si aggiunge la consapevolezza di essere stranieri e quindi spesso marginalizzati.Ma è sulla sofferenza fisica che Messing si sofferma: donne incinte che in fabbrica cuciono a ritmi estenuanti o che lavorano nelle lavanderie respirando prodotti altamente tossici; donne che lavorano negli ospedali a contatto con prodotti pericolosi e nocivi. Donne invisibili le cui vite sono spesso dimenticate, così come il loro contributo alla società: spesso ad accettare questi mestieri sono straniere, immigrate, che sacrificano parte della loro salute pur di ottenere un lavoro, a volte requisito essenziale per ottenere la cittadinanza. Raccontare le loro storie e il loro lavoro significa far luce su un mondo sotterraneo, umanizzare una realtà che la società ha disumanizzato.
Elisa Carrara
(30 agosto 2017)
SCHEDAKaren Messing, Les souffrances invisibles. Pour une science du travail à l’écoute des gens. Edizioni Écosociété, 2016, pag.232Traduzione dall’inglese al francese di Marianne Champagne Leggi ancheIl lavoro delle donne immigrateNo, gli immigrati non ci rubano il lavoro