Sono stati aggiudicati i tre distinti bandi pubblicati dalla prefettura di Roma per l’affidamento dei servizi di accoglienza di migranti e richiedenti asilo, in osservanza delle nuove regole stabilite dal decreto sicurezza che rischiano – secondo l’Oxfam – di “smantellare il modello italiano di accoglienza diffusa”.Nel 2017 erano 1.470 i gestori che garantivano in tutta Italia 53.557 posti, pari al 77% del totale dei gestori e al 32% del totale dei posti:
- 473 fino a 20 ospiti (il 25%),
- 611 fino a 50 ospiti (il 32%),
- 386 fino a 100 ospiti (il 20%).
Proprio sui centri più piccoli, numerosi e virtuosi, è calata più forte la scure dei tagli imposta dal ministro dell’interno. Tanto che a Roma si sono presentati solo in 13 per rispondere ai bandi. Il primo bando prevede un importo pro capite di 23 euro al giorno (decreto salvini accoglienza e tagli) ed è rivolto ai centri collettivi con capacità ricettiva fino a 50 posti ubicati nel comune di Roma.A partecipare alla gara sono state solo quattro cooperative sociali, medio – grandi che, avendo a disposizione anche centri di grandi dimensioni, riescono a fare economie di scala e due soggetti più piccoli: il Centro per l’autonomia Michele Iacontino e la Snc. Cenerella. La cooperativa Eta Beta si è classificata al primo posto con il più alto punteggio tecnico, seguita da Medihospes, Synergasia, Ermes. L’importo complessivo dell’accordo quadro che comprende i servizi offerti, il pocket money e il kit di vestiario per il singolo migrante, per un fabbisogno stimato in 800 posti, è di 15.388.400 euro iva esclusa.Il secondo bando è destinato alle unità abitative fino a 50 posti, le più penalizzate dalla nuova legge con una riduzione dei contributi e dunque del personale, di circa il 50 per cento. Tanto che a partecipare sono stati solo due soggetti. Il primo riunito in un raggruppamento temporaneo di imprese (Rti)comprende le cooperative sociali Contrad, la I.so.la.; Una città non basta e Alicenova. Il secondo è la Cooperativa Roma Solidarietà, promossa dalla Caritas di Roma, che ha in gestione 50 centri operativi tra comunità alloggio, mense sociali, case famiglia, centri di ascolto, ambulatori medici, centri di formazione e assistenza domiciliare. Il bando prevede un importo pro capite di soli 18 euro, per un fabbisogno stimato in 200 posti per un totale di 3.117.100,00 euro iva esclusa.
Le strutture più piccole non si sono presentate
Moltissime altre strutture diffuse sul territorio nazionale, hanno preferito astenersi dalle gare ritenendo impossibile fornire il servizio di integrazione e inclusione sociale, offerto fin qui a una cifra fin troppo esigua.Il terzo bando da 51 a 350 posti che prevede un contributo pro capite di 21,90 euro per un fabbisogno stimato di 2970 posti per un totale di 54.744.525.00 euro, ha visto la presentazione di sole 5 offerte, visto lo “stato di crisi – riscontrato dagli stessi sindacati – in cui versa tutto il settore operante nella gestione dei servizi di accoglienza per gli immigrati con l’80 per cento in meno degli sbarchi, registrato nell’ultimo anno, e le strette maglie imposte dal decreto sicurezza”. Ancora Medihospes nel terzo bando si è aggiudicata il primo posto pur essendo reduce da una procedura di licenziamento collettivo per 351 operatori su 2103 dipendenti complessivi, che è stata portata dai sindacati all’attenzione del ministero dell’Interno. Al secondo posto Eta Beta, e poi l’ Istituto degli Oblati, il Centro Accoglienza Tiburtina e la cooperativa sociale Siar.E che la situazione sia diventata particolarmente difficile per il settore, grazie ai nuovi bandi, lo spiega entrando nel dettaglio Marco Bono, direttore di Eta Beta:” stiamo valutando l’effettiva sostenibilità della nostra offerta – dice – abbiamo contattato i proprietari delle strutture che pare siano disposti a dimezzare gli affitti per mantenere l’occupazione, ma a fronte degli attuali 70 addetti di Roma e del Lazio, non possiamo escludere un taglio del personale del 10 per cento. “Il bando destinato alle strutture fino a 50 ospiti – spiega – prevede il pagamento di sole quattro ore, dalle 20 alle 24, dell’ operatore notturno. A notte inoltrata – secondo questa logica – gli ospiti dovrebbero dormire e quindi non avrebbero più bisogno di un controllo. Ma nel caso dovesse scoppiare una rissa la responsabilità sarebbe comunque nostra e quindi ce ne dovremo fare carico”.Più che dimezzate anche le ore di assistenza sociale, via i corsi di italiano, via il personale amministrativo, il magazziniere, l’infermiere. Resta il medico di pronto intervento per 4 ore al giorno e lo stesso direttore della struttura ha un impegno ridotto a 18 ore la settimana. Se noi riusciremo – comunque a stare in piedi – conclude Bono – con economie di scala e grazie ai rapporti ormai consolidati con le associazioni del territorio, offrendo in prevalenza nei centri più grandi, un’accoglienza di tipo prevalentemente “alberghiero” che garantisce fondamentalmente solo il vitto e l’alloggio, i centri piccoli, quelli dell’accoglienza diffusa, la migliore per l’integrazione sul territorio, sono destinati a chiudere”.
L’allarme lanciato dall’Oxfam per il calo dell’occupazione
A scendere in campo per ridiscutere i nuovi bandi è stata l’Oxfam che, presa visione dei nuovi capitolati, ha chiesto un tavolo di concertazione al ministero del Lavoro e al ministero degli Interni per ridiscuterli anche alla luce dei dati forniti dalla Cgil Funzione Pubblica nazionale: 4000 gli operatori che hanno già perso il lavoro nei primi quattro mesi dell’anno, visto il drastico calo degli arrivi ( – 80 per cento), ma potrebbero diventare 15.000 entro la fine del 2019, via via che entreranno in vigore i nuovi bandi. Un calo occupazionale che avrebbe un impatto sulla spesa pubblica davvero molto oneroso, tale da compensare se non annullare i risparmi programmati dal ministro dell’Interno
208 i milioni di euro che lo Stato potrebbe spendere sotto forma di ammortizzatori sociali
Sulla base dei dati forniti dall’organizzazione sindacale gli esperti di InMigrazione hanno fatto qualche conto. Il risultato è che il calo sensibile dell’occupazione che dovr ebbe nella logica del decreto sicurezza portare a un sensibile taglio dei costi da parte dell’erario, comporterà una spesa uguale o superiore per il pagamento delle indennità di disoccupazione di circa 15.000 operatori.“La maggior parte degli operatori dell’accoglienza – si legge nell’analisi – è assunta con un contratto a tempo indeterminato o determinato e avrà diritto all’indennità di disoccupazione, NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) calcolata in base al numero di settimane contributive nei quattro anni precedenti il licenziamento, o il mancato rinnovo del contratto .Il tempo medio lavorativo degli operatori , assunti prevalentemente tra il 2015 e il 2016, anni del maggior flusso di arrivo dei migranti è di circa tre anni. Considerando quindi una figura di operatore full time, inquadrato come livello C1 (Contratto cooperative sociali), con uno stipendio lordo medio calcolato a 1345 euro e impiegato per tre anni, l’ammontare dell’indennità di disoccupazione per 18 mesi (la metà, appunto, delle settimane contributive) risulta pari a 13.869,99 euro. Moltiplicando per le 15.000 persone che si prevedono in esubero entro la fine del 2019, si tratta di più di 208 milioni di euro che potenzialmente usciranno dalle casse dello Stato sotto forma di ammortizzatori sociali”.
Francesca Cusumano(8 maggio 2019)
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