Dalla Nigeria all’Italia, il percorso delle vittime di tratta

La casa del sole

Imam, nome fittizio, ha vent’anni ed è arrivata in Italia nel 2014. Nel suo paese, la Nigeria, faceva la parrucchiera in un salone di bellezza insieme a sua madre e alle quattro sorelle dopo aver dovuto interrompere i suoi studi per motivi economici. Un giorno la giovane incontra Jamal, anche questo nome fittizio, una signora che le promette di avere più successo se viene a lavorare in Europa. È così che inizia la prima tappa della tratta di vittime, con il reclutamento.

Inizialmente Imam rifiuta l’offerta perché conosce le difficoltà del viaggio, è spaventata e sua mamma non è d’accordo. Ma dopo qualche giorno decide di partire e prima del viaggio viene sottoposta a un rituale voodoo in cui presta giuramento di non fare mai il nome della donna che la porterà in Europa e alla quale si impegna a restituire 25.000 euro.

La procedura del rito voodoo è il secondo passaggio della tratta di vittime in Nigeria ed è finalizzato a creare nelle donne una condizione di terrore tale da costringerle al silenzio e a impegnarsi a ripagare il debito contratto per arrivare in Europa senza creare problemi ai trafficanti. In caso di inottemperanza la principale minaccia è la morte loro o dei parenti.

Insieme ad altre cinque ragazze e diversi trafficanti, Imam, inizia il suo viaggio verso l’Europa durante il quale soffre diversi tipi di violenza e maltrattamenti. Arrivate in Libia, le ragazze vengono sequestrate per una settimana in un ghetto finché uno dei trafficanti paga la cauzione.

Dopo quasi un anno di viaggio, Imam, arriva in Italia via mare e, seguendo le indicazioni di Jamal, si mette subito in contatto con quella che dovrebbe essere la sua “madame”, una sorta di tenutaria, che le chiede di raggiungerla a Milano. È in quel momento che la giovane scopre una realtà ben diversa da quella che aveva immaginato e da quella che le avevano promesso e capisce che per pagare la somma di 25.000 dovrà prostituirsi.

Imam si ribella subito e dopo qualche mese riesce a scappare e arriva in Abruzzo dove entra in contatto con l’Unità di Strada dell’associazione On The Road, grazie alla quale riceve subito assistenza sanitaria. I primi giorni è visibilmente intimorita e molto chiusa, solo con il passare del tempo inizia ad acquisire confidenza con gli operatori che dopo aver individuato la sua condizione di vittima di tratta la inseriscono in un programma di emersione con l’associazione. Oggi, Imam, grazie a On The Road, è riuscita a seguire diversi corsi di formazione, ha svolto svariate esperienze lavorative e ha iniziato una nuova vita.

Il maggior numero di vittime di tratta proveniente da paesi extraeuropei presenti sul nostro territorio è di nazionalità nigeriana, mentre il più alto numero di vittime di tratta proveniente da paesi comunitari è di nazionalità rumena. Per quanto riguarda l’età delle ragazze che assistiamo oscilla tra i 19 e i 28 anni, anche se per le nigeriane è più difficile individuare l’età e spesso non ci dicono di essere minorenni, ma il sospetto c’è”.

A parlare è la coordinatrice dell’unità mobile dell’associazione “On The Road” una delle realtà più impegnate nel contrasto della tratta attiva tra Marche, Abruzzo e Molise.

Da circa 25 anni, “On the road”, svolge diverse attività con vittime di tratta tramite le Unità di Strada, gli sportelli a bassa soglia (drop-in) dove chiunque può accedere per richiedere informazioni, l’accoglienza delle vittime in micro-strutture residenziali, l’assistenza legale, la formazione e l’inserimento socio-lavorativo.

L’area in cui operiamo è molto ampia, facciamo uscite settimanali, diurne e notturne, nei posti dove c’è la prostituzione e dove ci sono ragazze vittime di tratta alle quali portiamo sempre preservativi, un opuscolo sulle malattie di trasmissione sessuale e i nostri numeri in caso di necessità. Le nostre equipe sono formate da tre operatori e il contatto in strada che hanno con le donne è molto breve. Cerchiamo sempre di incontrarle in un’altra sede in cui siano presenti soltanto l’operatore e la vittima e in quel contesto, eventualmente, proporre loro un programma di assistenza e integrazione sociale previsto dall’art 18 comma 3 bis del d.lgs.268/98. All’inizio c’è molta diffidenza. Poi, gradualmente, si instaura un rapporto di fiducia e iniziamo ad avere maggiori informazioni in merito alle singole storie.”

Infatti, una delle principali problematiche che segnala Bruni è proprio quella di riuscire a costruire una relazione di fiducia con le vittime che gli permetta di farle uscire dalla rete dello sfruttamento.

“Soprattutto per quanto riguarda le ragazze nigeriane”, continua Bruni. “Hanno una figura di riferimento, che allo stesso tempo è la loro sfruttatrice, che ha su di loro un potere emotivo e culturale molto forte perché sono legate da un rito vodoo a queste donne. Gli accompagnamenti sanitari sono molto importanti per noi perché è lì che abbiamo il tempo di parlare con le ragazze senza il controllo delle Madame e di conquistare la loro fiducia.

Durante la prima fase di recupero della vittima di sfruttamento sessuale se sono maggiorenni, sono ospitate presso case di accoglienza. Se sono minorenni la competenza è dei servizi sociali del Comune che deve accoglierle in Comunità per Minori.

E dopo una prima fase di ambientamento, vengono elaborati percorsi individualizzati di assistenza e integrazione sociale finalizzati all’autonomia.

Forniamo protezione e tutela, vitto e alloggio, assistenza sanitaria e sostegno psicologico, programmi di alfabetizzazione, apprendimento della lingua italiana, tirocini e sostegno all’inserimento lavorativo” spiega Bruni.

Quello di Imam è un destino comune a molte nigeriane che sbarcano in Italia. Infatti, secondo il rapporto dell’Oim, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, nel 2016 le donne di nazionalità nigeriana sbarcate sulle nostre coste sono state 11.009 rispetto alle circa 5.000 del 2015 e le 1.500 del 2014.

Per aiutare le vittime a denunciare le situazioni di sfruttamento lavorativo è stata lanciata la campagna “Conosco i miei diritti #denunciolosfruttamento”, lo scorso 19 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato. L’obiettivo è stato quello di realizzare un video in 9 lingue (Italiano, Inglese, Francese, Russo, Pashtu, Romeno, Cinese, Bengali, Bulgaro) affinché sia fruibile direttamente dai diretti interessati, per fornire alle potenziali vittime gli strumenti per conoscere i propri diritti.

 

Cristina Diaz
(26 giugno 2019)

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