Era il primo agosto 2018 quando l’avventura di “Grande come una città” ha preso vita in un luogo atipico come quello di un parco costruito sopra il parcheggio di una fermata della metropolitana. In quell’occasione il parco Jonio si è riempito di persone che hanno ascoltato in religioso silenzio la prima lezione aperta del Professore Luca Serianni, “La lingua italiana come cittadinanza”. Quest’anno, il 24 luglio, il linguista e filologo, tra i massimi esperti di storia della lingua italiana, definito da Raimo “il nume tutelare di Grande come una città”, è tornato a riempire uno spazio alienato e alienante, asettico, come quello dello spiazzale del centro commerciale Porta di Roma. “Abbiamo pensato che questo luogo di consumo, in cui transitano ogni anno 18 milioni di persone, non potesse essere estraneo al nostro territorio, e quindi abbiamo pensato che questa piazza inventata potesse ritornare ad avere il valore di avvicinare le persone”, ha detto Raimo.
Le mille lingue di Roma
“La presenza di più lingue è legata alla stessa storia di Roma”, esordisce Luca Serianni, dando inizio a un excursus storico che dagli antichi romani arriva fino ad oggi. “Fin dalle origini, i popoli italici, di cui il più illustre è quello etrusco, crearono a Roma un variegato tessuto linguistico. Un elemento da considerare è la rapidità del processo di conquista del resto d’Italia: nel 270 a.C. l’Italia peninsulare è romanizzata, anche se questa conquista non sembra andare di pari passo con una dichiarata politica di colonizzazione linguistica”. Dalla fase di potere, a quelle di crisi, segnate dalla guerra greco-gotica del VI secolo e del periodo di assenza del Papato da Roma durante la cattività avignonese: Serianni con il suo carisma tiene in ascolto il pubblico, mentre intorno i carrelli di Ikea vanno e vengono, trasportati dai clienti del centro commerciale che, carichi di buste, si fermano ad ascoltare stralci di lezione prima di ritornare al parcheggio sotterraneo.È il 999 quando muore il Papa Gregorio V: “il suo epitaffio attesta l’uso di ben tre lingue circolanti a Roma all’alba dell’anno Mille, ovvero quella francese, quella volgare e quella latina. Tuttavia, questa effervescenza di lingue e culture non impedisce una forte involuzione: Roma è percepita dal resto d’Italia come una città di persone rozze, di contadini inurbati, come dimostra anche l’appellativo al dialetto romanesco dato da Dante nel De Vulgari Eloquentia, ovvero turpiloquium, una lingua in cui si dava sempre del tu e mai del voi“. Dopo diversi secoli, e dopo la fase di toscanizzazione con la presenza dei Papi medicei a Roma, anche Giuseppe Gioacchino Belli, racconta Serianni, rispose al principe Gabrielli che lo invitava a tradurre i Vangeli nei dialetti italiani, che non si poteva fare una traduzione in “questa lingua abietta e buffona”.
Il romanesco e il latino
Il romanesco, lingua bassa, e il latino, lingua dell’ortodossia religiosa, hanno convissuto a Roma molto più di quanto si pensi: “a Roma le traduzioni latine si sono protratte fino a un’epoca molto moderna. Molte furono le iscrizioni latine, dal 1870 in poi, su edifici pubblici, non solo palazzi e questo richiamo alla latinità è una caratteristica esclusiva di Roma, non c’è nulla del genere in altre città italiane o estere”.Il romanesco ha invece avuto una capacità di rinnovarsi, “oggi non è un vero dialetto, ma si affida ad alcune intonazioni e a un patrimonio lessicale che ormai molti italiani hanno fatto proprio, anche per mezzo della sede romana della RAI e della diffusione di commedie all’italiana. Nel dizionario della lingua italiana, i vocaboli marcati con la dicitura “roman.”, ovvero romanesco, nel dizionario italiano sono 150, e fanno parte del patrimonio lessicale italiano, pensiamo a Pasolini, che usava “pischello”, o a “er monnezza”, personaggio cinematografico che tutti quelli della mia età conosceranno”.“Se facciamo lo stesso esperimento con i vocaboli napoletani o milanesi, notiamo che sono rispettivamente 28 e 12, dunque molto inferiori rispetto a quelli romaneschi”.
Nuovi italiani, nuove lingue?
“La situazione dei nostri anni non può prescindere dalla presenza dei nuovi italiani. Secondo i dati nazionali, a Roma ci sono 385mila stranieri, la maggior parte di etnia rumena, filippina e bangladese”. Il dato interessante che Serianni vuole evidenziare è quello non tanto del plurilinguismo, dunque la compresenza di più lingue, ma piuttosto del grado integrazione delle lingue parlate in uno stesso territorio.“Non con tutte le etnie avviene lo stesso grado di integrazione”, spiega Serianni, “prendiamo come esempio l’assegnazione del nome dei figli, che è un vero e proprio atto culturale: sui nomi dei figli albanesi, che fanno parte della prima ondata migratoria, 7 su 10 sono comuni per gli italiani, cosa che non avviene ad esempio nella comunità marocchina, dove 6 nomi su 10 sono arabi”.”Nella realtà plurilingue di Roma è significativo valutare il grado di integrazione delle lingue, ma bisogna tener presente che questa procede in senso unico, ovvero sono le comunità straniere che si sono adattate alla lingua del luogo”.“E cosa ne pensa Serianni dell’inglese, sempre più pervasivo nel linguaggio di oggi?”, chiede un ragazzo dal pubblico. “Lo stato di salute della lingua riflette quello dei suoi parlanti, siamo noi che facciamo la lingua. Sulla lingua si può intervenire a livello pubblico e istituzionale, dobbiamo tener presente che noi possiamo dire tutto in tutte le lingue e l’automutilazione della lingua, per via di anglicismi inutili, è sicuramente sbagliata. Prima ciò che accomunava fortemente gli italiani era la religione cattolica. Oggi che non è più così, è la lingua, assieme alle abitudini alimentari, a darci un senso di appartenenza, è la lingua l’elemento che utilizziamo per rappresentare il mondo”.
Grande come una città alla vigilia del primo compleanno
“Grande come una città” sta per compiere il suo primo anno di attività: un progetto di pedagogia popolare che Christian Raimo, assessore alla cultura del III Municipio, ha ideato per riportare i cittadini nelle piazze, nelle scuole, nei luoghi di passaggio o quelli dimenticati del Municipio, a conoscersi, dialogare, fare pensiero e imparare. “È stato un anno a dir poco impegnativo, in cui abbiamo seminato tantissimo”, dice Raimo, “ma grande è la soddisfazione di aver visto una comunità di cittadini sempre più ampia e partecipante”.“Grande come una città” ha portato negli spazi pubblici giornalisti, professori, scrittori, attori, intellettuali, artisti che hanno tenuto in un anno, senza alcun finanziamento pubblico, lezioni aperte alla cittadinanza su diverse tematiche: beni comuni, migrazioni, questioni di genere, arte, letteratura, politica, storia, scienza. Centocinquanta incontri, trentaquattro gruppi di lavoro, tra cui uno composto da 120 volontari che si occupa dell’insegnamento dell’italiano a stranieri. Il Presidente del III Municipio, Giovanni Caudo, ringrazia, nominandoli uno a uno, tutti i partecipanti che hanno dato il loro contributo intellettuale, perché “questo progetto, nato dalla follia geniale di Christian, è la politica che ci piace fare”.
Elisabetta Rossi(25 luglio 2019)
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