“Durante il mio viaggio a Cuba ho iniziato a indagare a fondo e sono rimasto colpito dal gruppo di lavoro che Carlos Acosta ha creato con giovani ballerini come lui. Il suo è un successo agrodolce e la sua storia è molto curiosa perché sebbene tutti, specialmente suo padre e i suoi insegnanti, lo abbiano sempre incoraggiato a ballare perché aveva un immenso talento naturale, la paura di essere considerato omosessuale e la sua ribellione contro la danza, gli hanno fatto odiare ciò che poi lo ha reso felice. Così ho pensato che potevo raccontare la sua vita, Cuba e un po’ di storia attraverso la danza”, spiega Paul Laverty, lo sceneggiatore premiato a Cannes, nel 2002, per Sweet Sixteen di Ken Loach.Nato a Calcutta, da madre irlandese e padre scozzese, Laverty, classe 1957, ha studiato filosofia e ha lavorato come avvocato, ma alla fine ha optato per la scrittura e il cinema.Una scelta vincente considerando che in poco tempo è diventato lo storico sceneggiatore di Ken Loach e della regista spagnola Icíar Bollaín, la sua compagna, con la quale si trova a Roma per presentare il loro nuovo film ‘Yuli – Danza e libertà’ che uscirà nelle sale italiane il 17 ottobre, proprio nella settimana in cui si celebra, il 20 ottobre, anche il Giorno della Cultura Cubana.“Yuli” è un viaggio attraverso la vita del celebre danzatore cubano Carlos Acosta che ha ballato nelle più grandi compagnie del mondo tra cui lo Houston Ballet, l’English National Ballet, l’American Ballet e il Royal Ballet di Londra dove ha lavorato dal 1998 al 2015, anno del suo ritiro dalle scene, diventando il primo “principal” di colore nella storia della Compagnia.“La sua storia è arrivata alle mie mani grazie ad una amica scozzese. Appena mi ha suggerito di fare un film su di lui non ho esitato un istante e ho deciso di incontrarlo a Londra. In quel momento ho capito subito che si trattava di un personaggio molto vivo e speciale e la sua autobiografia, No Way Home, da cui il film prende ispirazione, era molto interessante. Non c’era un motivo per non farlo,” spiega Laverty.“Yuli” racconta la storia e la vita di un ragazzo che voleva fare il calciatore, che è cresciuto nelle strade dell’Avana e che, contro ogni probabilità e inizialmente anche contro la sua volontà, finisce per diventare uno dei più grandi danzatori del mondo.Il rapporto del ballerino con suo padre, il suo rifiuto per la danza e le diverse classi sociali che esistono a Cuba sono alcuni degli elementi che Laverty e la regista Bollaín affrontano per mostrare “una Cuba che non è la stessa di sempre“.“Oltre alla situazione politica dell’isola, nel film, volevamo mostrare anche la Cuba meno conosciuta: quella dell’immenso talento artistico di ballerini particolarmente brillanti. Giovani cubani determinati e creativi che sono frustrati perché non riescono a crescere, non sono liberi e soffrono una forte repressione dell’omosessualità e del razzismo che a mio parere esiste ancora in molte parti del mondo”, spiega.Infatti, uno degli argomenti principali della storia di Acosta è proprio il razzismo.”Nella vita di Yuli c’è molta politica: da quando torna a ballare fino a quei momenti in cui vede i barcaioli lasciare il paese, o quando non fanno entrare i suoi amici in discoteca. Ci sono molte questioni da discutere ma non possiamo capire Cuba se non conosciamo il suo rapporto con gli Stati Uniti. Ciò che sta accadendo nel paese è vergognoso e la comunità internazionale non sta dimostrando più il suo supporto. È incredibile che l’embargo economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti a Cuba vada avanti da sessanta anni, è il più lungo della storia moderna. È una punizione contro i civili cubani e penso che nel cinema abbiamo l’obbligo di parlarne quando possiamo: non può essere cambiato, ma possiamo parlarne“, conclude Laverty.
Cristina Diaz(16 ottobre 2019)
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