Chi ha fiducia nei consultori?

Il dott. Vittorio Le Rose

In un angolo un po’ remoto di Parioli c’è via Atto Tigri. Al numero 5 una porta con una targa blu con scritto “Consultorio Familiare”. Dentro una piccola sala d’attesa e qualche stanza. Ho appuntamento con Vittorio Le Rose, responsabile dei consultori del distretto II della Asl Rm A che coincide, come territorio, con il Municipio2 di Roma. Le Rose è un medico che insegna all’università, si occupa di ostetricia e gravidanze a rischio.

Cos’è un consultorio. Entrati nel suo studio, con la scrivania e il lettino per le visite, il dottore appare subito una persona molto interessata alla tematica dell’intercultura. Sfogliando l’opuscolo del servizio, scopro con meraviglia che i consultori del distretto II sono solo due: via Atto Tigri 5 e via Salaria 140. «Pochi» commenta il dottore «soprattutto in confronto alla popolazione che vive in questo territorio. Sicuramente se ce ne fossero di più riusciremmo a fare un lavoro migliore». Allora cerco subito di capire cos’è un consultorio e cosa offre. Le Rose mi spiega che prima di dirigere i consultori aveva lavorato 30 anni in ospedale, ma «ora questa Asl non ha più ospedali né strutture ostetriche, li ha chiusi. Quindi noi che avevamo ruoli dirigenziali ci siamo dovuti reinventare. Ero partito dall’idea che il consultorio fosse un posto dove non si pagava e che tutto il resto fosse uguale all’ospedale. In realtà non è così. Qui si può usufruire di due tipologie di servizi: uno prettamente medico e l’altro di assistenza sociale e psicologica che non è inferiore, tutt’altro, qualifica il servizio. Facciamo consulenza ginecologica, soprattutto a giovani e adolescenti, seguiamo gravidanze, eseguiamo pap test per visualizzare eventuali patologie, da un anno abbiamo creato un ottimo servizio sulla ricerca dell’Hpv», il Papilloma virus, che può causare malattie della pelle e delle mucose. «Gli psicologi invece fanno una cosa molto bella che riguarda una specificità dei Parioli, il quartiere con la più alta incidenza di separati a Roma: lavorano quindi sul disagio della coppia o dei figli. Vengono sia gli adulti che i ragazzi da soli. Infine c’è un gruppo di ostetriche che si occupa della preparazione al parto: dalla scelta di dove far nascere il proprio bambino a  tutto ciò che riguarda l’allattamento e il puerperio».

Il Centro Sant’Anna. Mi rendo conto che il consultorio offre un servizio completo, sanitario, di assistenza e anche “di smistamento” verso altri presidi più specializzati. Il dottore mi conferma che i medici dei consultori spesso lavorano anche in “strutture di secondo livello”: «se, per esempio, sto seguendo una gravidanza e qui non posso fare determinate cose per problemi di logistica o attrezzature, la posso seguire in altri giorni presso gli ambulatori esterni. Solitamente indirizziamo le pazienti in ospedali con cui abbiamo contatti diretti: per quanto mi riguarda ho creato un ottimo rapporto col Cristo Re sull’Aurelia e col San Giovanni dove ho lavorato. Lì porto pazienti ostetriche e soprattutto le ginecologiche che devono fare grandi interventi che non sono fattibili in strutture minori come il Sant’Anna dove è possibile comunque eseguire piccola chirurgia ginecologica e oncologica». Il Sant’Anna è il “Centro per la tutela della salute della donna e del bambino” che si trova sul territorio del Municipio2 in via Garigliano 55, e che prima ospitava, al suo interno, un consultorio, «spostato qui in via Tigri. Attualmente il Sant’Anna si mostra come una struttura che «si occupa soprattutto di sterilità,  Fivet», Fertilizzazione In Vitro con Embryo Transfer, «studio e terapie per la coppia sterile; medicina perinatale, con amniocentesi, villocentesi, ecografie; poi c’è una parte ambulatoriale che probabilmente verrà meno in poco tempo perché si sta ristrutturando a 100 metri dal Sant’Anna, a via Tagliamento, un grande complesso che ospiterà tutti gli ambulatori specialistici della Asl Rm A».

L’entrata del consultorio di via Tigri

L’isolamento. A proposito dello spostamento del consultorio dal Sant’Anna a via Tigri, Le Rose mi chiarisce che una cattiva localizzazione pregiudica il successo di una struttura,  analogamente al fattore economico che affligge un po’ tutta la sanità: «Se tu poni un consultorio in un posto dove ruotano spontaneamente 2000 persone al giorno, avrai un ritorno da ogni punto di vista, se lo vai a confinare in un luogo  sperduto, anche se fai volantinaggio e curi i rapporti con le istituzioni e le strutture locali, è tutto molto più difficile. Quando questo consultorio era alla Sant’Anna il nostro lavoro era meno impegnativo rispetto al correre a destra e sinistra a “procurarci utenza”, perché comunque lì giravano molti potenziali pazienti, non foss’altro perché ogni mattina arrivavano 300 persone a farsi i prelievi di sangue, e quindi la ragazzina che ci veniva con i genitori, vedeva che tre porte più avanti c’era un consultorio e magari poi ci ritornava».

I giovani. L’esempio mi fa pensare che nei consultori ci sia una buona frequentazione da parte dei giovani, ma anche in questo caso, analogamente a quanto avviene per gli stranieri, sembra che lo scoglio fondamentale da superare sia rappresentato dalla “fiducia”, soprattutto se l’informazione del consultorio viene sostituita dalle ricerche su Google: «i ragazzi si mettono su internet e pretendono di sapere tutto su pillola del giorno dopo, rapporti, profilattici, migliore anticoncezionale, certificati per l’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG), quali ospedali la fanno e quali no.  Malgrado ciò, poco a poco ci siamo guadagnati la loro fiducia senza metterci in cattedra e hanno cominciato a frequentarci, in un momento delicato in cui l’utenza stava diminuendo: richiedono soprattutto consulenza generica, vengono a verificare se quelle cose che hanno sentito in tv o da coetanei o  letto su internet siano vere, se possono essere prese in considerazione.  Qui di fronte c’è il liceo classico Mameli, cerchiamo con fatica di interagire con gli studenti, andando a monitorare soprattutto la contraccezione d’urgenza, la cosiddetta “pillola del giorno dopo”. Con insegnanti e genitori stiamo cominciando a organizzare anche dei corsi di contraccezione».

IVG e pillola del giorno dopo. Nella “presunzione” giovanile rientra anche l’uso un po’ scriteriato della cosiddetta “pillola del giorno dopo” (uno studio recente ha rivelato che il 55% delle confezioni sono state vendute a ragazzi tra i 14 e i 19 anni ndr) «analogamente a quanto accadeva, in maniera del tutto sbagliata, 15 anni fa quando si utilizzava la IVG come contraccettivo. Si poteva andare a richiederla negli ospedali in maniera anonima anche se si era minorenni, purchè accompagnati dal giudice tutelare, ed era un periodo in cui le adolescenti si facevano anche 4-5 IVG in 2-3 anni. Ora l’IVG è richiesta sempre meno, mentre la domanda di contraccezione è molto elevata, anche quella d’urgenza. Tuttavia il mercato italiano dei contraccettivi non è in espansione, mentre negli altri paesi i numeri vanno ad aumentare. Probabilmente non si riesce ad avere un giusto contatto con le scuole e quindi con gli adolescenti.» Oggi i motivi per i quali si arriva a una IVG, una decisione grave,  difficile e sofferta, sono prevalentemente «età, un rapporto nato da poco col compagno, il fatto che si stia studiando o che ancora si viva in casa con i genitori. I casi di violenza erano numerosi fino a qualche anno fa, soprattutto quando lavoravo in ospedale, adesso, specie in quartieri come questo, la violenza fortunatamente è piuttosto rara, anche se ne esistono ancora  e spesso non sono dichiarate».

Pubblicizzare la prevenzione. Suggerisco che sia necessario farsi pubblicità, e mentre già mi immagino i consultori italiani ritratti su grandi cartelloni in stile americano, al contempo mi pare assurdo che la sanità debba essere pubblicizzata. Eppure, per il dottore sembra essere l’aspetto più ovvio del suo lavoro: «La nostra forza sta nel pubblicizzarci perché altrimenti  bisogna aspettare le persone che stanno male, ma quella è la condizione dell’ambulatorio normale, l’idea consultoriale è completamente diversa.» Improvvisamente mi si chiarisce la vera natura del consultorio e capisco perché va pubblicizzata: in una cultura come quella occidentale abituata alla medicina curativa, è necessario “pubblicizzare la prevenzione”, nonostante sia paradossale visto che è una condizione sicuramente preferibile rispetto a qualsiasi malattia. È la psicologa Lilia Luciani, entrata nello studio per unirsi alla chiacchierata, che mi chiarisce questa idea completamente diversa, quasi olistica, tra accoglienza, ascolto e assistenza vera e propria, facendomi cogliere definitivamente l’importanza del consultorio: «è una struttura fondamentale perché è l’unica che si occupa di prevenzione ed educazione alla salute, dal singolo alla collettività. È inoltre un “servizio a bassa soglia”, cioè non si richiede prenotazione, garantendo sempre un appuntamento, un ascolto e un eventuale orientamento verso altri presidi, anche a chi non ha alcun tipo di tessera sanitaria. È l’anello di congiunzione tra e con gli  ospedali ed è un luogo dove si  forniscono risposte immediate».

RUMENO
L’aiuto psicologico. Approfitto dell’occasione per andare più a fondo sul lavoro del consultorio dal punto di vista psicologico, e subito la dottoressa mi fa scontrare con un altro paradosso, parlandomi di un progetto con le scuole di “educazione dell’affettività” perché sembra che oggi sia necessario sviluppare nei ragazzi la capacità di ascolto e espressione dei propri sentimenti, della propria interiorità, del rispetto degli altri. Le consulenze psicologiche riguardano inoltre altre problematiche: «Si propongono sussidi e percorsi per la coppia, la famiglia, i minori, le adozioni… una grande fetta di lavoro riguarda proprio il sostegno alla genitorialità. Poi aiutiamo i tanti giovani extracomunitari con poca forza sociale a cui offriamo assistenza riguardo diritti e legalità e le straniere che soffrono la condizione di essere in Italia da sole. Nel caso delle IVG si cerca di capire se c’è consapevolezza nella decisione e si offrono sempre tutte le alternative».

L’utenza è, dunque, molto variegata. Connessi alla specificità del quartiere, i lavori svolti dagli stranieri che frequentano il consultorio sembrano essere sempre gli stessi in base all’etnia: «gli indiani sono tutti portieri, i cinesi lavorano o sono proprietari di ristoranti. I filippini rappresentano l’utenza maggiore: gli uomini fanno gli autisti a persone anziane o i giardinieri, mentre le donne sono donne di servizio o badanti, tanti vivono anche in coppia in grandi case.» Riguardo l’età, «quando sono arrivato era più bassa, poi attraverso il volantinaggio e i rapporti con l’esterno, abbiamo cominciato a trovare la fiducia anche di donne più adulte e per loro organizziamo corsi di preparazione e gestione della menopausa. All’inizio erano un po’ scettiche perché magari la signora filippina non veniva a fare il corso insieme alla signora dei Parioli, ma ora si sta superando anche questo. Si sostiene la donna a livello ormonale e psicologico, anche attraverso l’ausilio di colleghi di ortopedia e cardiologia, per aiutarla a preservarsi dalle alterazioni dovute alla menopausa che in alcuni casi possono sfociare in patologia».

Dove stanno i cinesi? Altre etnie, come quella cinese e quella araba, sembrano invece più difficili da “scovare”: «Qui vicino c’è un ufficio di rappresentanza della Cina e sono andato a chiedergli “dove stanno i cinesi?”, perché noi difficilmente ci occupiamo di loro: la comunità cinese a Roma è enorme, vorrei sapere dove vanno. E ho capito che così come noi siamo diffidenti, loro lo sono cento volte di più. Ho guadagnato un “microcosmo cinese” andando a mangiare nei loro ristoranti, ho fatto nascere un paio di bambini e mi hanno invitato ai loro “battesimi”. E frequentando queste persone, il giro si è un po’ esteso: d’altra parte il nostro lavoro è fatto di passaparola. Un grande problema è che i cinesi non parlano  italiano, anche se vivono qui da 4-5 anni. Credo che il problema centrale sia guadagnarsi la loro fiducia. Lo stesso accade con gli arabi che si riuniscono in tanti nella Moschea che è qui vicino. Il problema dell’integrazione, a mio avviso, non è tanto integrarli, quanto “scovarli”. Gli unici che afferiscono in maniera evidente e spontanea alle strutture della Asl sono i rumeni, i polacchi, i filippini…»

ARABO

La nuova legge sui consultori. Entriamo a questo punto nel delicato dibattito riguardante la proposta di legge regionale del Lazio “Riforma e riqualificazione dei consultori familiari” di iniziativa del consigliere Pdl, Olimpia Tarzia (ddl n. 21 del 26 maggio 2010), in discussione in questi mesi, che se approvata andrebbe ad abrogare la 15/1976: «Ho paura che il consultorio diventi un ibrido: né un ambulatorio qualificato dove fornire prestazioni sanitarie, né un punto di accoglienza dove dare possibilità di integrazione, non solo agli stranieri, ma in senso generale alle coppie, ai giovani… non si capisce  bene cosa diventerà».

La bioetica. In particolare l’art. 26 prevede l’istituzione in ogni consultorio di un “Comitato bioetico” composto da un esperto in materia di bioetica, un giurista, un medico-legale, un educatore, uno psicologo e un farmacologo, che avrà un ruolo primario in quello che viene definito il “primo procedimento”, la fase di ascolto della donna che intende ricorrere all’aborto. Mi sorprende scoprire che potrei essere un’esperta di bioetica: «non si sa chi sia l’esperto di bioetica. Potrebbe esserlo anche lei: la bioetica non è altro che manifestare la propria volontà etica rispetto alla procreazione, il pensiero soggettivo rispetto al rapporto tra legge e aspetti sanitari». Sottolineando: «d’altra parte io non voglio una legge in cui si parli soprattutto della 194», la legge del 22 maggio 1978 che regola l’aborto, consentendo alla donna di poter ricorrere alla IVG in una struttura pubblica nei primi 90 giorni di gestazione, «io vorrei una legge in cui la 194 è stata superata. Perché siamo stati talmente bravi ad educare l’utenza che sempre meno donne ricorrono alla IVG . A me non interessa un consultorio in cui si fanno 400 IVG, mi interessa un consultorio in cui se ne fanno solo 10 perché non esiste più l’utenza che la  vuole fare.  E questo è il grande successo dei consultori».

Alice Rinaldi(24 febbraio 2011)

Gli operatori del consultorio di via Tigri sono: Vittorio Le Rose (medico responsabile), Antonietta Fischetti, Diana Laccone, Mariagrazia Le Fosse (ginecologhe), Lilia Luciani (psicologa), Rossella Falconi (puericultrice), Marilena Costantino (caposala), Luisa Sassi (assistente sociale), Antonietta Salvatore (ostetrica), Cristina Pagnani (pediatra). Marilou Berain, mediatrice culturale filippina, dipendente del Cies (Centro Informazione e Educazione allo Sviluppo) è presente ogni martedì mattina per aiutare il servizio con il suo prezioso apporto linguistico (Tagalog e inglese). Ci ha gentilmente fornito i volantini informativi sul “Servizio linguistico e culturale” presente nei consultori di via Tigri e via Salaria scritti in varie lingue.

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