La lunga intervista con Alas Hassan Ali si svolge dipanando la matassa dei ricordi. Alas ha 14 anni, è un giovane uomo, quando gli viene strappato il padre, ucciso brutalmente dalla mano armata di Al Shabaab “un’organizzazione fondamentalista islamica, prima si chiamava maxkamdah, che vuol dire tribunale”. Non fa in tempo a riprendersi, per quanto ciò sia possibile, che, nel 2006, il medesimo destino tocca al fratello maggiore. Alas ha appena compiuto 18 anni, ed il Ministero per il quale aveva lavorato il fratello, lo convoca per offrirgli un lavoro. Lui accetta, entusiasta: “ero sempre stata una persona tranquilla, avevo lavorato come responsabile in una compagnia elettrica ma quando mi hanno proposto questo lavoro ho subito detto di si”.
Errore di valutazione, non aveva considerato che ad Al Shabaab la libertà di scegliere della propria vita potesse non andare bene. E glielo dicono chiaramente che, se avesse accettato il lavoro, avrebbe fatto una brutta fine. La madre a quel punto è disperata, e lo prega di lasciare la Somalia, non vuole vedere morire un altro figlio.
L’inizio del viaggio. E così, Alas scappa, lasciando una madre ed un nipotino in quello Stato dilaniato dalla guerra. Le date ed i numeri sono ben impressi nella memoria del giovane somalo: “Sono partito il 10 giugno 2007”. Peregrina per diverse città, arriva in Eritrea e poi in Sudan, dove perde un amico, Sharia, crudelmente ucciso dalle milizie sudanesi, era il 12 febbraio 2008. Ma la corsa per la ricerca della libertà continua ed arriva a Tripoli, dove vive l’ennesima disavventura “ero andato a trovare un mio amico in carcere. Le guardie mi hanno fatto entrare per parlare con lui, ma poi non mi volevano più far uscire, mi hanno detto che se non gli davo 1000 euro potevo anche marcire lì dentro per il resto della mia vita. Sono stato in carcere 22 giorni, lunghi come due anni”. Per fortuna la madre riesce a fargli avere i soldi necessari e, a quel punto, Alas è deciso a salpare per l’Italia.
La traversata in mare. A maggio 2008 è su una barca carica di 56 persone, che però affonda in mare. Un’imbarcazione tunisina va in loro soccorso portandoli in salvo, ma riportandoli anche indietro. Alas perde altri 27 compagni, condotti in Libia, nelle prigioni dalle quali lui era scampato pochi mesi prima. Ma non è il suo turno e riesce a ripartire e, stavolta, a giungere in Italia. Arriva il 10 agosto 2008, ed il desiderio realizzato è quello di approdare finalmente a Lampedusa, dove rimane per 12 giorni, prima di dirigersi a Roma, presso il Centro di Accoglienza Enea. “Sono poi andato due mesi in Svezia a trovare una delle mie tre sorelle, anche loro scappate dalla Somalia”.
Lo status di rifugiato. Una volta ritornato definitivamente a Roma ottiene prima l’asilo politico, a causa della guerra che flagella la Somalia, ed in seguito lo status di rifugiato per comprovate ragioni di pericolo per la sua vita qualora fosse dovuto ritornare in Somalia. D’altronde l’eco delle minacce di Al Shabaab è ancora nelle sue orecchie.
Senza lavoro non c’è integrazione. Gli anni seguenti sono difficili, il lavoro non si trova, e senza lavoro Alas non si sente parte dell’Italia, e gli italiani non possono dirsi collaborativi, in questo senso: “una volta, in autobus, c’era tanta gente che spingeva ed io, senza volerlo, ho spinto un signore che si è girato e mi ha chiamato negro di merda, ma io non avevo fatto niente, e tutti in autobus lo sapevano perché l’avevano visto, ma nessuno ha detto niente”. Cerca lavoro metodicamente, ogni giorno, per tre lunghi anni, fin quando non lo trova presso l’SDA express courier, come magazziniere, ed inizia effettivamente a sentirsi parte attiva dell’Italia e a poter guardare, da lavoratore, tutti gli italiani, o presunti tali.
“Sono musulmano al 100%” afferma orgoglioso, specificando che “pregare e leggere il Corano mi aiuta e mi conforta nei momenti di difficoltà, sempre.” Guarda dritto davanti a sé Alas, e vede un ritorno in Somalia, quando la guerra sarà finita, ma più vicino, vede un corso da elettricista per fare qui in Italia il lavoro in cui era specializzato in Somalia.
Verso la riconquista della libertà. Assennato lavoratore Alas è in ogni modo un 23enne, e si sta riappropriando, una goccia alla volta, di quella leggerezza perduta: è un appassionato calciatore, adesso con gli Sporting United mentre in Somalia giocava in serie B. Gli piace la musica, quella americana, in generale, ed in particolare la dinamica Shakira. E questi sono strumenti per condurre una vita dignitosa, quella garantita nella Costituzione Italiana, ribadita nella Dichiarazione Universale de Diritti dell’Uomo, o, molto più semplicemente, quella che ciascuno avrebbe diritto ad avere, “Vorrei ritornare in Somalia, per poter vivere in libertà”, perché l’unica vera libertà è quella di poter scegliere, di andar via dal proprio paese magari, ma non di scappare da esso, e forse in Italia può riconquistarsi quest’opportunità, che assomiglia sempre meno a un miraggio nel deserto.
Piera Francesca Mastantuono
(27/04/2012)