“Il messaggio da far arrivare alla gente è che il Ramadan è un mese di amore, verso l’altro, sé stessi e quindi Dio”, racconta Sagidah Ahmad, 23 anni, nata in Italia da genitori palestinesi, studentessa di Lingue e letterature moderne all’Università Tor Vergata di Roma. “Non è tanto il non bere quel bicchiere d’acqua, perché se hai la forza di osservare il periodo di digiuno non ti cambia niente, non si muore disidratati”. La vera essenza del quarto pilastro dell’Islam, o Sawm, con inizio quest’anno il 20 luglio per avere termine il 18 agosto, è per lei “renderci più fratelli e sorelle, sentire il proprio vicino, stare accanto ai bisognosi. Distaccarsi dai piaceri terreni per far sì che il nostro cuore sia più dolce ed umile”. Concorde Omar El Helou, venticinquenne palestinese di origine giordana con l’ambizione di diventare imprenditore: “si cerca di essere il più corretti possibile e questo ci porta migliorare rispetto al resto dell’anno”.
Le immagini del Ramadan Ali Darwish, 16 anni, nato a Roma da genitori egiziani, è ideatore del programma radiofonico dell’associazione Giovani Musulmani d’Italia e gestisce un canale Youtube dove manda in rete i suoi video su temi legati alle seconde generazioni e la fede. Le immagini che per lui maggiormente identificano il Ramadan sono la riunione per il tarawih – la preghiera della notte – e la rottura del digiuno serale, l’iftar, “i momenti caratteristici di questo mese”. Unanime la visione di Susanna Mohammed, ventenne di origini egiziane, studentessa di Lingue, culture, letterature e traduzione: “viene in mente un’atmosfera religiosa splendida e piacevole”. Per Sumayah, sorella diciottenne di Sagidah, iscritta al liceo linguistico, l’associazione visiva coincide con la mezzaluna sullo sfondo del cielo scuro, “è usata nei messaggi di auguri”.
Tra Italia e paese d’origine Sara Letizia, 19 anni, nata a Roma da padre italiano e madre marocchina, matricola alla facoltà di Scienze politiche alla Sapienza, trascorrerà il mese in Marocco, con i genitori e il resto della famiglia materna: “la giornata inizia prima dell’alba, consumando il sohor, una sorta di colazione. Poi si prega il fajr e si torna a dormire fino a mezzogiorno. Dopo la preghiera dell’asr iniziano i preparativi per il futur, che interrompe il digiuno, non prima del maghreb, l’orazione del tramonto. A fine pastosi va in moschea per l’ishaa e il tarawih”. “Essendo un paese musulmano, in Giordania si avverte meglio l’atmosfera, come qui per il Natale. C’è molta gente in giro e si spende di più per il cibo, pensando all’iftar”, continua Sumayah. “Con i parenti non andavamo a letto prima della mattina, svegliandoci anche alle sei del pomeriggio. Qui ci rechiamo in moschea, dove le donne si incontrano due o tre volte a settimana per preparare ricette, soprattutto marocchine ed egiziane, ma anche tunisine, algerine e palestinesi, e rimaniamo in piedi massimo fino alle due”. La sorella Sajeda preferisce invece stare in Italia, “mi piace di più perché i ritmi continuano come al solito e avverto maggiormente il peso del sacrificio, lì lo stile di vita si adegua al mese, con agevolazioni per chi lavora”. Anche secondo Omar nel suo paese “è più semplice digiunare. Con gli amici organizziamo un iftar collettivo. Se dovessi rimanere a casa cercherei di alzarmi il più tardi possibile, stando sotto l’aria condizionata per non sentire la sete”. Riconosce però come stare coricati tutto il giorno non rientri nel giusto spirito, non comportando un grande sforzo. Chi rimarrà in Italia è Susanna, tra famiglia e moschea dove fa attività come insegnare ai bambini versi del Corano e celebra il tarawih, “poi rimaniamo nei paraggi con gli amici fino all’una circa. Stare insieme è il modo migliore per resistere alle tentazioni”. “Quando hai molte cose da fare e sei in gruppo la giornata passa velocemente”, concorda Ali. “Non pesa sul corpo né sullo spirito”.
La curiosità degli amici non islamici Naturale che chi non conosca in modo approfondito il credo musulmano li tempesti di domande, specie nel periodo di astinenza diurna. “Molti restano stupiti dal fatto che si possa resistere così tante ore e dai motivi che ci spingono a farlo”, commenta Omar. “Mi chiedono se non posso mangiare proprio niente, nemmeno qualcosa di piccolo se mi dovesse venire fame”, racconta divertita Sumayah. “Altre volte invece vogliono sapere di più sulla mia religione e delle sue differenze con il cristianesimo”. Ragioni che hanno spinto Ali con i suoi video a cercare di chiarire e informare gli italiani sul significato dell’islam, con l’obiettivo di eliminare gli atteggiamenti di paura ed intolleranza. I risultanti sono al momento contrastanti tra “chi considera il mio lavoro interessante, divertente ed utile e chi la vede all’opposto”. “Le domande migliori sono sul limite di resistenza o sul significato stesso della parola Ramadan”, le considerazioni di Susanna, che poi distingue tra la curiosità per la cultura e le tradizioni e chi “chiede per prendere in giro”.
Il rapporto con l’islam Nel corso degli anni la consapevolezza è cresciuta un po’ per tutti, sotto diversi aspetti: “prima avevo un approccio più automatico, compiacevo le pratiche religiose perché me lo dicevano i genitori”, ammette Ali. “Ora è qualcosa di più personale, profondo e riflettuto”. Simile il percorso di Sagidah e Sumayah, che affermano in coro “in famiglia ci hanno trasmesso i dettami della religione ma anche un’educazione che comprendesse l’etica e i buoni costumi, crescendo abbiamo iniziato ad informarci di più, capendo il reale significato e valore della dottrina, trovando le risposte che servivano”. “Il rapporto è diventato più forte, così come il legame con la moschea”, racconta Susanna, “insegno anche ad alcune ragazze”.
Le musalsalat sono delle serie tv prodotte appositamente per il mese sacro, trasmesse in coincidenza con la rottura del digiuno e che tengono incollate allo schermo milioni di famiglie in tutto il mondo arabo. Non hanno un genere definito, ultimamente trattano anche temi politici come la primavera araba, e sono rivolte ad un pubblico trasversale, “ma più femminile che maschile”, precisa Omar. “Cercano di distrarre la gente dalla preghiera e dalle opere buone, cioè lo scopo principale del Ramadan. Non le seguo molto, tranne, quando posso, una che va avanti da quindici anni e si chiama ‘Tash-matash’”. “Da piccola le guardavo sempre”, ricorda Sara, “ora meno, perché è una perdita di tempo, dovremmo sfruttare ogni secondo per adorare Dio”.“Noi non le seguiamo”, la posizione più drastica di Sagidah, “perché in questo periodo bisognerebbe avvicinarsi a Dio, distaccandosi dalle cose materiali. Chi le manda in onda pensa solo al profitto”. Rincara la dose Ali, “non ci si dovrebbe dedicare a futilità come le fiction”.
Redazione Gabriele SantoroInterviste Sandra Fratticci e Gabriele Santoro(26 luglio 2012)