Rapporti con la scuola. La Rete scuolemigranti minori, che riunisce le associazioni di volontariato impegnate nel supporto all’apprendimento dell’italiano e nell’integrazione scolastica dei minori stranieri, riunita il 22 gennaio, si interroga sull’esperienze attuate e le buone pratiche in vista della realizzazione di un protocollo comune da presentare alle scuole.
Daniela Sansonetti della Casa dei Diritti Sociali esplicita gli interrogativi che animano il dibattito ”come rapportarci con le scuole?” e “cosa fare con gli alunni?” Utilizzare l’orario scolastico garantisce la presenza degli studenti, ma li sottrae ad altre ore di lezione. L’obiettivo sarà fare un progetto che venga condiviso dalla scuola: “al momento una prospettiva più che una realtà, ci vorrà del tempo perché tutti capiscano che il nostro intervento è utile ai ragazzi” per questo è importante come Rete stilare un protocollo delle associazioni che specifichi come presentarsi alla scuola e cosa proporre.
Criticità. La maggiore integrazione con i consigli di classe porterebbe al riconoscimento da parte dei docenti dell’utilità dell’intervento, non solo un serbatoio che accoglie i ragazzi quando “serve” all’ insegnante, pur nella consapevolezza che il corpo docente spesso è oberato di lavoro. Antonella Farinelli di Antea si interroga: “Lavoriamo su quello che è lecito? Non lo è tappare i buchi, in tal caso non sono valutate nel modo giusto l’importanza dell’operazione, degli operatori e dello studente”.
Malgrado arrivino riconoscimenti da parte dei docenti per gli effetti positivi dell’intervento del volontariato, capita che essendo gratuito non abbia, soprattutto in partenza, la considerazione dovuta e quindi poco importa se il ragazzo salta le ore di supporto perché deve partecipare a un compito in classe. Per aumentare la consapevolezza che l’intervento delle associazioni non sono solo un utile parcheggio, ma un’azione positiva e indispensabile, è necessario che venga condiviso con i docenti. “Il supporto agli studenti non va considerato extra curriculare, sia l’azione volontaria che i progetti finanziati hanno pari dignità e vanno messi a sistema”. Valeria di BPD, bambini più diritti, evidenzia che non vanno dimenticati, fra i destinatari dell’intervento della Rete, i minori dei centri di accoglienza e delle case famiglia che non frequentano la scuola ma i CTP(centri territoriali permanenti per l’istruzione, ndr)
Volontariato come scelta civica. Vanda Giuliano di Piuculture pone in evidenza l’importanza di qualificare l’offerta: “per noi intervenire a supporto dei bambini stranieri è una scelta civica: vogliamo rafforzare la scuola pubblica strumento importante nella storia del nostro paese e oggi indispensabile per l’integrazione degli immigrati. Dobbiamo saper dire no se ci vengono proposti interventi inadatti, mettere dei limiti a quello che possiamo fare. Ognuno di noi dovrebbe far passare questo messaggio nel dialogo con i singoli dirigenti scolastici, evidenziando come il volontariato è sostegno a un’esperienza formativa che ha la base nell’apprendimento della lingua”.
Cosa fare con i ragazzi E’ importante valutare non solo la competenza linguistica degli studenti, ma anche cosa sanno fare con la lingua, la loro competenza comunicativa e interculturale. Patrizia Sentinelli di Altramente conferma l’importanza di avere il riconoscimento da parte del corpo docente e riporta il successo di una esperienza volta a supportare i ragazzi stranieri nel conseguimento dell’esame di terza media, un progetto concordato con il preside prima della pausa estiva e che ha portato a una convenzione con la scuola. Il supporto previsto per tre materie: italiano, matematica e francese con i docenti che hanno presentato i programmi che ciascuno doveva fare. “La metodologia e l’insegnamento di una disciplina aiutano nel far acquisire fiducia nei volontari da parte della scuola che constata i miglioramenti degli alunni”.
Collaboarazione con i mediatori. Maria di Immigrati in Italia opera in provincia di Gaeta, l’associazione ha sperimentato la copresenza in classe di un adulto di madrelingua, un intervento limitato nel tempo, venti giorni, che consenta al bambino di entrare nella routine scolastica. “Nella nostra realtà fatta soprattutto di adolescenti e preadolescenti provenienti dai paesi dell’ Est Europa per ricongiungersi con le madri, in prevalenza colf e badanti, è la scuola l’unica struttura pubblica che si occupa di loro, minori a rischio, che il pomeriggio e in estate sono delle mine vaganti. Con loro il doposcuola non ha funzionato perché sapeva troppo di “scuola”, mentre ha avuto grande successo l’intervento basato sulla socializzazione” Nei confronti del sistema scolastico “abbiamo acquisito credibilità quando abbiamo messo in piedi un progetto FEI( Fondo Europeo degli Investimenti, ndr), ci hanno guardato con altri occhi: è fondamentale che avvenga il riconoscimento della qualità dell’offerta”.
Claudia Russo di Passaparola con altre giovani insegnanti di L2 certificati, aspiranti professori, si sono organizzate e hanno presentato una proposta a scuole del Municipio VII, ora operano affiancate da un mediatore turco e una mediatrice ucraina e con la collaborazione di un giovane bengalese “Il gruppo di lavoro ha avuto una buona accoglienza a scuola, avevamo messo in piedi questa attività in attesa di tempi migliori, operando ci siamo resi conto che il lavoro che vogliamo fare è questo con i minori stranieri”.
Alle superiori prima l’integrazione con la classe. Un discorso a parte merita l’intervento nelle scuole superiori dove la prima cosa è l’integrazione in classe, fra pari, molto più di quella con gli adulti. Per Fondazione Integrazione presente nel Municipio IX all’istituto tecnico Darwin è fondamentale lavorare non solo sull’apprendimento della lingua ma sull’integrazione con il gruppo. In questi casi è particolarmente importante “destrutturare il metodo scolastico, creare corto circuito fra i giovani migranti e il gruppo classe: noi partiamo da un laboratorio con i G2 poi lo proponiamo a tutti gli altri”. Luciana Milella, gruppo formazione della Rete, spiega che al ministero ci sono funzionari che da anni lavorano con la consapevolezza che “l’educazione interculturale non è solo per i ragazzi che si devono integrare, ma è un progetto che dovrebbe riguardare tutti analogamente a quanto avviene per la dispersione, in sintonia con le linee guida 2006, che s hanno dietro il lavoro di tante persone qualificate a partire da Vinicio Ongini. “Pare incredibile ma il Ministero si rivela essere più avanti di molti presidi e insegnanti”.
L’altro problema alle superiori è l’italiano come lingua di studio che dovrebbe portare alla creazione di un protocollo per produrre contenuti minimi. Quando finisce il sostegno alla lingua della comunicazione, comincia quello per la lingua dello studio
In conclusione sintetizza Giuseppina Fidilio coordinatrice della Rete scuolemigranti minori, “il dibattito in corso porterà, entro l’anno, all’organizzazione di un convegno, organizzato dal gruppo formazione della Rete, con l’intento di definire il ruolo di scuolemigranti minori nei confronti dei minori inseriti nella scuola pubblica. Inoltre poichè il rapporto con il singolo insegnante può non essere semplice, è necessario realizzare un protocollo comune che rafforzi l’offerta e porti al riconoscimento della Rete come interlocutore qualificato.”
Irene Ricciardelli(23 gennaio 2013)