È da poco passato il secondo anniversario dell’inizio della rivolta in Siria, finora costata la vita a circa 70 mila civili, senza dimenticare il milione di rifugiati nei paesi confinanti. Ma mentre l’occidente si interroga sui giochi di potere e le possibilità di intervento degli schieramenti Usa ed Unione Europea da una parte, Iran e Russia dall’altra – più l’incognita dei paesi arabi – “nessuno pensa alla popolazione e alla società siriana, che sta cercando anche soluzioni creative”, cerca di cambiare prospettiva Donatella Della Ratta, dell’università di Copenaghen e dell’Istituto Danese di Damasco, intervenuta nel corso dell’incontro “Stati Uniti, Europa e il caso della Siria” tenutosi il 25 marzo al Centro di Studi Americani, in via Caetani. “Ad esempio prendendo in giro i messaggi di propaganda lanciati dal regime di Bashar al-Assad”, sfruttando tecniche mediatiche che sono servite proprio per il consolidamento della dinastia al vertice dal 1970.
Media e potere Dell’importanza delle “musalsalat”, le telenovele dei paesi islamici particolarmente seguite nel mese del ramadan, qualcosa si sapeva, meno sul fatto che la Siria sia il secondo produttore dell’area, dietro solamente ad un gigante come l’Egitto, con anche i paesi del Golfo acquirenti. “Sono fondamentali, più dei notiziari, per influenzare l’opinione pubblica” continua la Della Ratta, tanto che all’inizio venivano usate per lanciare la linea riformista, “parlavano di temi come corruzione, estremismo religioso, problemi di genere delle donne, erano l’orgoglio di Assad” ed anche agli occhi occidentali significavano un tentativo di trasformazioni sociali, del resto erano volute da un leader non militare e con una formazione universitaria londinese. La sostanza del messaggio stava però nel ritenere che l’elite culturale avrebbe dovuto guidare il cambiamento, attraverso passi graduali, fattore che, oltre al pubblico, convinse anche i produttori. L’idea è proseguita anche con la guerra, con inviti al dialogo, finché i servizi segreti hanno bloccato la messa in onda nel corso del ramadan 2011, “le ipotesi sono due, o si giocava al poliziotto buono-poliziotto cattivo, in modo da scaricare le colpe sull’intelligence, oppure era questa a manovrare i circoli intellettuali, il risultato però non cambia”. Ma qualcosa, anzi molto, la popolazione ha imparato, tanto che i più recenti messaggi governativi contro le divisioni hanno subito parodie nei cartelloni e nelle scritte sui muri per le strade, dove si mantiene la stessa grafica ma si ribalta il senso dell’espressione del potere.
Diplomazia o azione? Insieme al Libano ultimo esempio di convivenza civile nel Mediterraneo, tra islamici – drusi, alawiti, curdi solo per citarne alcuni – cristiani, di matrice maronita, caldei, aramaici, greci, armeni, ed ebrei, il modello siriano rischia di essere spazzato via. Nel decennale della guerra in Iraq, il dibattito nella comunità internazionale sulle possibilità e modalità di intervento resta lo stesso, “non c’è mai un modo indiscutibile per sciogliere i nodi”, commenta Guido Lenzi, ambasciatore. Una possibile soluzione starebbe “nell’isolare l’Iran e limitare Arabia Saudita e Qatar”, quest’ultimi due in grado di spostare l’influenza grazie alle ingenti possibilità economiche più che di armi, “riattivare Egitto e Turchia, per diversi motivi spariti dal radar Mediterraneo, tranquillizzare Russia e Cina. Solo coordinandosi al meglio Usa e Ue potranno usare il bastone – americano – e la carota europea per incentivare o far desistere a seconda del caso i diversi attori”.
Il ruolo europeo “L’Unione Europea è ancora giovane nel fronteggiare crisi come questa”, l’opinione condivisibile di Florence Gaub, ricercatrice e docente presso il Collegio di Difesa della Nato della Cecchignola. Ma il ruolo può essere determinante se si considera che prima dell’embargo, “consistente in 21 misure, non solo per le armi o il petrolio”, era anche il primo partner commerciale della Siria, con un volume di affari di oltre 3,5 miliardi annui. La scadenza del blocco economico è a giugno e i 27 stanno ridiscutendo i termini, con Francia e Gran Bretagna disposte a rifornire i ribelli, mentre Germania, Svezia ed Austria hanno perplessità, condivise da Obama, “per l’ipotesi che possano andare alla gente sbagliata. Su 60 milizie non c’è infatti un comando unitario di riferimento”, specialmente ora che si è dimesso il leader dell’opposizione al-Khatib. “È probabile che si arrivi ad una soluzione più elastica per Francia ed Inghilterra”. Difficile che si arrivi a negoziati, almeno in tempi brevi: “non c’è una fase di stallo, tutte e due le forze sono convinte di arrivare alla vittoria, non è interesse di nessuno sedersi ad un tavolo”.
La Siria del futuro Del rischio estremismo ne parlava già Hafiz al-Assad, padre di Bashar, negli anni ’80, ora anche il presidente statunitense, in visita ad Amman, ha in questi giorni sollevato la questione del dopo Assad, con l’eventualità che i fondamentalisti salgano al potere, motivo che spinge Israele a sperare nella continuità. Al di là delle congetture, ci sono fatti sostanziali da analizzare per i governi del futuro. “È vero che si trovavano diverse etnie e religioni, ma molto frammentate”, riporta Lorenzo Trombetta, giornalista Ansa e di Limes da 7 anni residente a Beirut. “La cultura della capitale Damasco è diversa da quella delle zone periferiche, con varie sfumature intermedie si va dagli intellettuali delle università ai jihadisti di Hidlib”. Quello che si spera sparisca è la denominazione di repubblica “araba”, già che almeno il 10% della popolazione è curda, ma la soluzione di uno stato federale sul modello iracheno non pare reggere, “rievoca la realtà coloniale francese, nonostante le differenze la preferenza è per lo Stato unitario”. Le sfide saranno ostiche, a partire dal riassorbimento della militarizzazione, “sarà difficile convincere a lasciare le armi persone a cui è stato tolto tutto e – non biasimabili – desiderose di vendetta”, al discorso sui diritti civili garantiti per tutti, “quando ci sono esperienze come quella della zona di al-Bab, a nord est di Aleppo, in cui è stata ripristinata la Sharia, si riuscirà ad integrarla con le realtà urbane? Questi i temi su cui riflettere e lavorare”.
Gabriele Santoro(26 marzo 2013)