L’Unione Europea ha reso noti lunedì 15 aprile gli allarmanti dati emersi dal primo rapporto sul traffico di esseri umani relativo al triennio 2008-2010. Si calcola la presenza di oltre 24 mila persone ridotte in condizioni di schiavitù, 1/5 delle quali, poco meno di 6500, si trova in Italia o vi è almeno transitata, il numero più alto fra tutti gli Stati membri. Il 68% sono donne, il 25% minori, ma ovviamente le difficoltà nell’identificazione dei soggetti rende impossibile valutare con precisione assoluta le reali proporzioni del fenomeno.
Le stime comunitarie si riferiscono ad un 62% destinato allo sfruttamento sessuale, 25% a quello lavorativo ed il rimanente 13% ad attività come l’espianto e commercio di organi, vendita di minori, accattonaggio e reclutamento nella criminalità più o meno organizzata, per un volume di affari di circa 30 miliardi di dollari, secondo soltanto – tra i business illeciti – al traffico di droga. La maggioranza delle vittime, probabilmente per la vicinanza geografica, è di etnia rom, proveniente in particolar modo da Bulgaria e Romania. Ma è forte anche la presenza di asiatici, cinesi e vietnamiti su tutti, africani, in prevalenza nigeriani, e sudamericani.
Ma ciò che più ha scoraggiato l’Unione Europea è stato il mancato recepimento della direttiva dell’aprile 2011 tesa alla prevenzione e repressione della tratta e alla protezione delle vittime. Al 6 aprile 2013, termine ultimo per la conversione in legge nazionale, solamente sei dei ventisette membri hanno provveduto, si tratta di Svezia, Finlandia, Polonia, Lettonia, Repubblica Ceca ed Ungheria. Il commissario per gli Affari interni Cecilia Malmstrom, alla presentazione del rapporto, si è dichiarata “delusa” da questa situazione.
Alla fine del 2009 i casi segnalati in Italia dalle organizzazioni non governative sono stati 757, tra cui spiccano l’ottantina registrati dalla procura di Varese. Altre realtà particolarmente delicate, Lecce e Venezia, due porte verso l’Europa dell’est, Roma segue con 50 denunce effettuate. Il profilo socio-demografico racconta di un’età media che non supera i 35 anni, ma i dati non comprendono i minori che, se gravemente sfruttati, non passano dai servizi di protezione sociale. La presenza di coppie o persone sposate è decisamente minoritaria e per quanto riguarda lo sfruttamento lavorativo, il 70% sono uomini perlopiù celibi. I dati si ribaltano considerando la prostituzione, che coinvolge soprattutto donne e transessuali. Nella nostra area, i paesi coinvolti sono Romania e Moldavia per l’Europa orientale, Pakistan, Bangladesh e Cina per l’Asia, Marocco, Egitto ed in misura minore Tunisia per il versante mediterraneo e Nigeria e Ghana per l’Africa.
Sfruttamento nell’agricoltura Secondo un’indagine condotta nel 2008 dall’Inea, ente pubblico di ricerca nel settore agro-industriale, la condizione di irregolarità riguarda una parte consistente di immigrati impiegati nelle grandi raccolte, specialmente nel sud del Lazio. In contesti lavorativi soggetti alla stagionalità è richiesta maggiore manodopera e molto spesso la permanenza viene protratta oltre la scadenza del permesso di soggiorno, in aziende che non rinnovano il contratto. Partendo dal presupposto che la soglia estrema del lavoro nero, assimilabile alla situazione di schiavitù di cui si parla nel rapporto dell’Ue, si ha con paghe di 400-500 euro mensili per un monte ore tra le 260 e le 300, si concentrano qui i casi più eclatanti di sfruttamento dei migranti, ricattabili per la precaria condizione giuridica. In questo ambito la provenienza più diffusa è dal sub-continente indiano.
G.S.(17 aprile 2013)
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